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Questo articolo è stato pubblicato il 03 giugno 2010 alle ore 14:40.
Nel Golfo del Messico una piattaforma petrolifera s'è incendiata ed è crollata in mare. Il sistema di sicurezza, il cosiddetto blowout preventer, non ha funzionato e decine di migliaia di barili di petrolio si stanno riversando in acqua.
No, non è una storia di oggi. È una storia di 31 anni fa, quando il pozzo Ixtoc I della Pemex (la compagnia petrolifera messicana) sputa nel mare un totale di 3 milioni di barili di petrolio, nell'arco di quasi dieci mesi. Se non si considerano il petrolio kuwaitiano gettato in un altro Golfo, quello Persico, dalle truppe irachene nel 1991, e un caso in Russia nell'agosto del 2000, Ixtoc è stato l'incidente petrolifero più grave della storia. Un primato che, molto probabilmente, gli verrà strappato dalla storia di oggi, quella della Deepwater Horizon.
«L'impatto di Ixtoc fu disastroso per tutte le specie, volatili e acquatiche, che sul mare basano la propria esistenza», commenta al telefono Ronald Kendall, capo del dipartimento di Tossicologia ambientale alla Texas Tech University. «Per fortuna, nel giro di un paio di anni, l'ecosistema riuscì a ristabilirsi: il petrolio ha finito per diluirsi e degradarsi, grazie al lavoro di alcune famiglie di batteri sottomarini e grazie all'effetto della luce solare».
Sì professore, ma è possibile che vada così anche stavolta? La risposta di Kendall, purtroppo, è negativa. «Le circostanze sono molto diverse. La perdita di Ixtoc, nelle acque territoriali messicane, era a circa 50 metri di profondità. La falla della Deepwater è a un miglio, 1.600 metri. Lì il sole non arriva e non può esercitare il suo effetto foto-degradante. L'attività batterica è ridotta. E la bassa temperatura rema nel verso opposto».
Secondo Kendall, che insieme a tre colleghi ha appena pubblicato «Wildlife toxicology», una specie di catalogo sui rischi chimici imposti dalla civiltà umana sul mondo animale, il problema aggiuntivo sta nei solventi che la Bp usa sott'acqua per dividere il petrolio in tante goccioline, farlo precipitare ed evitare così che arrivi sulla costa. «L'obiettivo di proteggere le coste è condivisibile – osserva – ma l'effetto collaterale è quello di far depositare il petrolio sul fondale, un miglio sotto il livello del mare». Sul fondale, la vita sparisce. E quindi la catena alimentare s'interrompe.