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Questo articolo è stato pubblicato il 04 giugno 2010 alle ore 08:14.
L'ultima modifica è del 04 giugno 2010 alle ore 08:14.
Silvio Berlusconi è di nuovo attivo dopo giorni di incertezza. Sembra evidente la sua intenzione di riprendere in mano il bandolo politico della matassa governativa sui due punti cardine dell'agenda: la manovra finanziaria e la fatidica legge sulle intercettazioni. Entrambe sono fonti d'infiniti dissidi all'interno del centrodestra, entrambe richiedono che il leader si pronunci una volta per tutte. Con chiarezza e soprattutto con equilibrio.
Sul primo punto il presidente del Consiglio si è espresso attraverso una nota di Palazzo Chigi. Una nota che smentisce dissensi con il ministro dell'Economia (e non poteva essere altrimenti), ma non si limita a questo. In un certo senso allarga l'orizzonte della manovra, ne illustra l'antefatto, la spiega con la necessità di affrontare «la più grave crisi finanziaria dal 1929», il che deve imporre un ovvio «senso di responsabilità» a tutta la maggioranza. E poi sottolinea che non bastano i tagli, perché occorre fare «ciò che è necessario e possibile per rendere il paese competitivo sulla crescita, a partire da un grande progetto di liberalizzazione delle attività economiche».
Qui è la novità. Non si tratta solo di «coprire» il ministro custode dei conti pubblici. Berlusconi si propone di dare una logica politica più generale alla manovra. E quindi la trasforma nel manifesto di un «secondo tempo» del governo, in cui vengono riassorbite le esigenze del mondo produttivo (vedi la recente assemblea della Confindustria) e i richiami del governatore della Banca d'Italia. Risuonano termini un po' dimenticati negli ultimi tempi: «grande progetto», «liberalizzazione»...
L'operazione riporta a Palazzo Chigi il baricentro della politica economica e c'è da esser sicuri che il premier d'ora in poi sarà più dinamico nel difendere la manovra davanti all'opinione pubblica. Soprattutto adesso che ha deciso di spiegare i tagli e i sacrifici con l'urgenza di avviare un ambizioso disegno di liberalizzazione. Non sappiamo, allo stato delle cose, se e come prenderà forma tale progetto. Vediamo però che il presidente del Consiglio vuole recuperare l'iniziativa. Senza fratture con il suo ministro, e anzi confermando «la lealtà e l'amicizia personale». Ma riconducendo a Palazzo Chigi la sede ultima delle decisioni. E con ciò anche il ruolo del premier come interlocutore privilegiato dei centri economici.