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Questo articolo è stato pubblicato il 04 giugno 2010 alle ore 09:08.
L'Europa ha ragione. Va anticipato l'innalzamento dell'età pensionabile delle donne nel pubblico impiego. Fatto che potrebbe creare un nuovo costume previdenziale anche nel settore privato. È socialmente sensato perché il lavoro di uomini e donne è ormai davvero uguale; l'aumento dell'aspettativa di vita modifica velocemente le regole e ciò che era bene negli anni 70 oggi è anacronistico; crea un sollievo ai conti pubblici nel periodo più difficile per le casse dell'erario (si ipotizzano risparmi di circa 300 milioni di euro l'anno).
La soluzione italiana – che già i ministri Renato Brunetta e Maurizio Sacconi si erano premurati di congegnare sapendo il rischio di una condanna dall'Europa – prevedeva un adeguamento a 65 anni entro il 2018, secondo un computo di un anno di anzianità previdenziale in più ogni due anni trascorsi.
L'Europa, per voce del commissario Viviane Reding, ha chiesto all'Italia di accelerare la parificazione al 2012: significa introdurre uno "scalone" di cinque anni distribuito su 48 mesi. Un salto molto più alto e brusco rispetto a quello ipotizzato dal governo italiano. Un colpo ancora più forte a storie e attese individuali che meritano rispetto (e se del caso anche eccezioni). È chiaro che partirà un negoziato con la Ue: la Corte di giustizia europea ci ha condannato ma – come sempre – rimane uno spazio di adattamento concesso agli stati membri per raggiungere gli obiettivi senza fare "macelleria sociale". Per questo l'Italia si sta attrezzando su programmi di riforma diversi e più incisivi rispetto a quelli prodotti finora.
Il più realistico sembra essere quello che porta a un innalzamento di due anni ogni 18 mesi in modo da arrivare ai 65 anni al primo gennaio 2016. Su questa strada si potrebbe coagulare, con ogni probabilità, anche un consenso più vasto rispetto a quello del solo Pdl (peraltro diviso al suo interno).
utto serve, però, tranne una soluzione pasticciata che pure qualche politico e qualche giurista sta già prospettando: abbassare l'età degli uomini nel periodo di transizione in attesa di riportare maschi e femmine, in parallelo, all'obiettivo finale dei 65 anni. Ciò che conta – è il loro ragionamento – è che l'Europa chiede di non discriminare i lavoratori per sesso e chiede l'equiparazione delle regole non necessariamente l'innalzamento dell'età delle donne.