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Questo articolo è stato pubblicato il 04 giugno 2010 alle ore 08:53.
GAZA. I razzi, le guerre, l'embargo israeliano, le faide palestinesi... Ai fini del bilancio tutto ciò è quasi irrilevante. Comunque vadano le cose la Palestine electric company (Pec), l'unica centrale elettrica a Gaza, macina profitti anno dopo anno, distribuendo corposi dividendi. Nella tormentata Striscia di Gaza ci sono business remunerativi. L'esempio della Pec, società privata quotata alla borsa palestinese di Nablus, lo dimostra.
Qual è il segreto di tanto successo? Sharhabeel Y. al-Za'eem sorride. «Ci vuole un buon avvocato – risponde - capace di strappare un buon contratto. E io facevo parte del team dei legali che lo hanno creato». «Il nostro impianto – precisa Walid Salman, direttore esecutivo della Pec - ha una capacità produttiva di 140 megawatt al giorno. Il contratto prevede che l'Autorità palestinese (Ap) ci paghi ogni anno l'importo per questa quantità (28 milioni di dollari, Ndr). Volevamo essere anche gli acquirenti del diesel per far funzionare la centrale. Ma hanno insistito: ce ne occuperemo noi a garantire le forniture. Non ci sono problemi».
Problemi invece ce ne sono stati, eccome. Ma allora era il 1999, l'ascesa politica e militare del movimento islamico Hamas, nemico di Israele e oggi padrone assoluto della Striscia, ancora lontana. I termini del contratto siglato tra l'Ap e la Pec erano comunque così favorevoli da suscitare qualche sospetto. «La durata – continua al-Za'eem - è di 20 anni, si estinguerà nel 2023. Il capitale iniziale è stato di 150 milioni di dollari. Una quota del 33% in mano a businessman e compagnie palestinesi; un altro 33% andò alla società americana Enron, il resto delle azioni, collocato sulla Borsa di Nablus, è nelle mani dei piccoli azionisti». Dopo il fallimento della Enron una società sempre americana, la Morganti, rilevò la quota. Ma il gas, che doveva essere estratto nelle acque di Gaza, qui non è mai arrivato. Si decise quindi di alimentare la centrale, entrata in funzione a fine 2002, con il diesel. Da allora i pagamenti alla Pec arrivano regolarmente, come se producesse al massimo della sua capacità, 140 megawatt.
In teoria. Vuoi per l'embargo decretato da Israele dal 2006, vuoi per le lotte intestine tra Fatah e Hamas, il diesel per alimentare le turbine della centrale arriva a singhiozzo. Inoltre, «i nuovi trasformatori acquistati dopo il 2006 dall'Egitto producono meno di quelli originari. Risultato: la centrale produce oggi solo 25 megawatt (poco più di 1/6 della produzione per cui è pagata)», spiega sconsolato l'ingegnere Suheil I. Skeik. È lui il direttore generale della Gaza electricity distribution corporation (Gedco), la società semi-statale (50% all'Ap, 50% alla municipalità di Gaza) che ha l'ingrato compito di distribuire l'elettricità, riscuotere le bollette dagli utenti e trasferire il denaro raccolto all'Ap. Di grattacapi, Skeik, ne ha parecchi.