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Questo articolo è stato pubblicato il 04 giugno 2010 alle ore 08:01.
BRUXELLES - La diversa età di accesso alla pensione nel pubblico impiego rappresenta una discriminazione inaccettabile, aveva sentenziato nel novembre di due anni fa la Corte di Giustizia europea, perché contraria all'articolo 157 del Trattato Ue che stabilisce il principio dell'eguaglianza retribuiva tra uomo e donna nell'Ue. Per questa ragione non è accettabile nemmeno la soluzione gradualistica presentata dal governo italiano per adeguarsi alla normativa europea. In una lettera al ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, il commissario Ue competente Viviane Reding scrive infatti che prevedere ben 8 anni per arrivare all'eguaglianza di trattamento nel 2018 significa di fatto continuare a mantenere in essere una discriminazione illegale. Di qui la richiesta all'Italia di mettersi in regola entro il 2012.
Tutto comincia nel 2005 quando Bruxelles avvia una procedura contestando il regime pensionistico dei dipendenti pubblici gestito dall'Inpdap per la prevista disparità tra uomo (65 anni) e donna (60 anni) dell'età pensionistica. La questione finisce alla Corte Ue che nel novembre 2008 dà ragione alla Commissione. L'Italia non si conforma alla sentenza se non dopo una nuova lettera di messa in mora inviata da Bruxelles nel giugno scorso. Il resto è cronaca di queste ore. Con una serie di dubbi e punti interrogativi. Perché la Commissione ritiene sia discriminatoria solo nel pubblico impiego la diversa età pensionistica uomo-donna, che è poi esattamente la stessa fissata dalla legislazione nazionale? Perché una dipendente pubblica ha diritto a vedersi applicato l'articolo 157 sulla parità di remunerazione e una lavoratrice privata no? Non è che così Bruxelles e la Corte eliminano una discriminazione per crearne una nuova?
Le risposte sguazzano nel formalismo giuridico: siccome nel pubblico impiego, spiega la Commissione, lo stato agisce da "imprenditore" non è ammissibile un suo comportamento discriminatorio. Sulla legislazione nazionale invece è libero di fare quel che vuole. Cioè...di discriminare. La Corte dice lo stesso in punta di diritto: siccome il pubblico impiego è retto da una legge ad hoc, in breve da un regime speciale, ricade sotto l'articolo 157 del Trattato. Per il regime generale delle pensioni vale invece la direttiva n.7 del 1979 che dà agli stati mano libera per rendere più flessibile l'applicazione del Trattato.