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Roubini: «Euro verso la parità con il dollaro nel 2011. Rischi di una nuova recessione globale»

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Questo articolo è stato pubblicato il 05 giugno 2010 alle ore 16:02.

TRENTO - «Nel corso del prossimo anno l'euro andrà verso la parità nei confronti del dollaro, se non ancora più in basso. I fondamentali delle due economie giustificano questa debolezza. Se questo processo avverrà in maniera graduale non è una cosa di cui preoccuparsi, anzi sarà un beneficio per l'economia della zona euro»
La previsione è di Nouriel Roubini, l'economista della New York University, tra i primi ad aver previsto la grande crisi del 2008-2009. Roubini parlerà domenica al Festival dell'Economia di Trento proprio di come si evolverà la crisi economica mondiale, ma oggi in un incontro con alcuni giornalisti ha affrontato gli aspetti più caldi dell'attuale fase economica, dalla debolezza dell'euro alle politiche necessarie per rilanciare la crescita.

C'è chi ritiene che se i paesi della zona euro non riusciranno a fare un salto di qualità nell'integrazione politica, anche l'unione monetaria è destinata a fallire. Lei cosa pensa?
«L'euro potrà sopravvivere se le istituizoni comunitarie e gli stati membri saranno in grado non solo di ridurre deficit ormai insostenibili, ma anche di far ripartire la crescita. L'austerità è solo uno degli strumenti per affrontare la crisi. La vera sfida è la crescita. Se non c'è crescita economica non si evita la recessione e non si evita il disastro economico e finanziario. Quindi non basta discutere di austerità fiscale ma occorre parlare delle misure per rilanciare l'economia reale. Questa è la sfida. Se queste cose, per quanto difficili, saranno realizzate l'unione monetaria potrà sopravvivere, se non saranno fatte l'unione monetaria può saltare».

Come si può stimolare la crescita?
«Serve una politica monetaria della Bce non rigida; serve un euro debole; la Germania dovrà stimolare la domanda interna con stimoli fiscali che aumentino il reddito disponibile; al contrario i paesi che non hanno i conti pubblici in equilibrio, parlo della Grecia, del Portogallo, della Spagna, dell'Italia, dell'Irlanda ma anche la Francia ha un deficit che diventa sempre più ampio, dovranno attuare una politica di austerità per ridurre i deficit pubblici o, nel caso dell'Italia, riportare il debito che oggi supera il 115% del Pil, a livelli sostenibili».

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E la Grecia?
«La Grecia deve ristrutturare il proprio debito e attuare politiche opposte a quelle tedesche, riducendo i salari e aumentando la competitività».

Anche per l'Italia potrebbe porsi il problema della ristrutturazione del debito?
«No. Non ora. L'Italia deve attuare una politica di austerità con i tagli fiscali e riforme strutturali che rendano più flessibile l'economia per stimolare la crescita».

Torniamo all'euro. È in mezzo al guado. Cosa serve alla zona euro?
«In Europa c'è bisogno di un maggiore coordinamento nelle politiche, ma non può essere la Germania che impone agli altri Paesi l'austerità fiscale. L'austerità è necessaria, in Paesi dove ci sono difficoltà di deficit e debito, ma dall'altra parte sono necessarie politiche che stimolino la crescita per evitare recessione e deflazione. La Germania, dove il rapporto tra deficit e Pil l'anno scorso è stato solo del 3%, ha dei margini per aumentare la spesa e sostenere la domanda nell'eurozona. Con l'euro che cade, l'industria tedesca che era già competitiva è ora ancora più competitiva, e con l'euro debole lo sarà ancora di più. Quindi la Germania può permettersi un leggero aumento dei salari, per stimolare non solo l'export, ma anche la domanda interna di beni tedeschi e di beni dell'Eurozona. Berlino deve lanciare un piano di stimolo fiscale, incrementare i salari netti e la Bce non deve preoccuparsi dell'inflazione - perché il rischio è semmai di una deflazione – e allentare la politica monetaria, sia intervenendo sui tassi, sia con metodi non convenzionali, per stimolare la crescita, accompagnare il calo dell'euro. Ogni attore nell'area euro deve svolgere il suo ruolo, il che implica un maggiore coordinamento, ma non il fatto che tutti diventino come la Germania. Ogni Paese, con le sue specificità, con i suoi problemi specifici, con le sue politiche, deve fare la sua parte».

E a livello globale?
«Questo deve avvenire anche a livello globale: i Paesi che spendono di più, sia a livello pubblico sia a livello privato, come Stati Uniti, Gran Bretagna o alcune nazioni d'Europa, devono spendere di meno; quelli che finora hanno risparmiato, come la Germania, il Giappone, Cina, debbono spendere di più. Tutto va coordinato a livello europeo e di G 20».
È ipotizzabile un euro a doppia velocità, una moneta unica soft per i paesi del Sud e una più forte per i paesi del nord Europa?
«Non credo che sia un'ipotesi praticabile dal punto di vista economico né dal punto di vista politico. Ciò che serve all'eurozona è ridurre gli squilibri al proprio interno, quindi la Grecia deve sanare i conti e ridurre gli stipendi, mentre la Germania che ha i conti a posto, deve stimolare la domanda interna aumentando le retribizioni. Gli altri devono sanare i deficit».

Secondo lei a che punto siamo della crisi? Sta finendo o vede altri rischi?
«C'è una crescita anemica, guidata dall'export più che dai consumi. E' il momento per l'Italia, come per gli altri membri dell'eurozona, di aumentare la produttività, di rendere l'economia più competitiva, più flessibile. Perché vedo in Europa un rischio di ricaduta, sono preoccupato per la situazione di bilancio di alcuni Paesi, come Portogallo e Grecia, vedo il rischio di un allargamento del contagio finanziario, vedo il rischio di una doppia W, ossia di una nuova recessione. E anche il quadro globale non è buono: la crescita è debole anche negli Stati Uniti e i dati sulla disoccupazione di venerdì sono pessimi; il Giappone cresce poco ed è in deflazione; ci sono anche indicazioni che la Cina stia rallentando. Così ognuno deve fare la sua parte per evitare una nuova recessione globale. Ci sono molte sfide di politica economica e fiscale da affrontare».

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