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Tennis, il rovescio dell'Italia

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Questo articolo è stato pubblicato il 05 giugno 2010 alle ore 10:58.

Dice Lea Pericoli, la signora del tennis, che Francesca ce la può fare. Lei, la Schiavone, milanese trentenne, è la prima donna italiana a giocarsi una finale del Grande Slam, gli internazionali di Francia, in quel di Parigi. In caso di vittoria oggi, aggiungerebbe il suo nome a quelli di Nicola Pietrangeli e Adriano Panatta, i soli italiani ad aver trionfato sul rosso di Parigi. Si giocherà il passaporto per la storia con Samantha Stosur, figlia di un paese, l'Australia, da sempre abituato a pasteggiare con i trionfi nel tennis.

L'Italia no, le Grandi finali raggiunte dai tennisti di casa nostra, sono una manciata nello spazio di quasi un secolo, sette in tutto con questa di Francesca.

Era il 1932 quando il primo tennista di casa nostra, Giorgio de Stefani, scese in campo per sfidare Henri Cochet, uno dei "quattro moschettieri" del tennis francese. De Stefani aveva una caratteristica, era ambidestro, poteva spostare la racchetta da una mano all'altra invece di tirare il rovescio. Figlio della borghesia agiata, come tutti i giocatori della sua generazione, insieme a Huberto de Morpurgo rappresentò il meglio del tennis di quel periodo. Erano gli anni della stabilizzazione del regime fascista, che mostrava il suo volto più accattivante. Le realizzazioni dello stato corporativo, soprattutto nel campo dell'assistenza e dei lavori pubblici, erano innegabili e avevano smosso perfino alcuni storici antifascisti.

Addirittura ci fu chi, come l'ex sindaco socialista di Milano Caldara, offrì la sua collaborazione al Duce, ben pubblicizzata dal regime. Malgrado tutto però, non mancarono episodi clamorosi anti-regime, come quando, nel '31, il maestro Arturo Toscanini ruppe clamorosamente con il fascismo e scelse di andare in esilio negli Stati Uniti.

Lo sport nel ventennio, è storia risaputa, ebbe sempre un posto di rilievo, e anche una disciplina pur sempre di élite come era allora il tennis doveva fare la sua parte. E così fu quando fu inaugurata a Roma, nel 1935, la struttura sportiva del Foro Italico.

Per tornare a de Stefani, la finale andò male, a vincere fu Cochet. Altre vittorie, sarebbero venute a consolarlo per quella sconfitta: nella sua lunga vita, de Stefani divenne presidente della Fit e vide realizzato, nel 1988, il sogno di riportare il tennis alle Olimpiadi.

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Tags Correlati: Adriano Panatta | Arturo Toscanini | CGIL | Cile | Confindustria | Democrazia Cristiana | Gianni Agnelli | Giulio Andreotti | Grandi | Lea Pericoli | Martina Navratilova | Nicola Pietrangeli | Parigi | Partito Comunista Italiano | Partito Socialista Italiano | Roland Garros | Roma | Sport

 

Bisogna aspettare gli anni del boom, del miracolo economico, per ritrovare un italiano in finale al Roland Garros. E questa volta per un trionfo, anzi un doppio trionfo. Nicola Pietrangeli vince nel 1959, battendo il sudafricano Vermaak e si ripete nel 1960 superando il cileno Ayala. Forse il più grande tennista italiano di tutti i tempi, elegante, spiritoso, raffinato, «il rovescio di Dio» – come lo chiamavano i giornali – incantava per il suo modo giocare. L'Italia si appassionò alle imprese sue e del compagno di doppio Orlando Sirola, i due vinsero il doppio agli Internazionali di Francia del '59 e sfiorarono un paio di volte la vittoria nella Coppa Davis, battuti sempre dagli australiani. Quello alle soglie degli anni Sessanta era un paese che cominciava a pensare in grande, i più fortunati viaggiavano con la Giulietta e Fellini girava La dolce vita. Le Olimpiadi cambiarono la faccia di Roma – il discorso inaugurale di Giulio Andreotti, presidente del comitato organizzatore, verosimilmente detiene ancora il record olimpico di lunghezza – e rappresentarono una sorta di pacificazione nazionale dopo la protesta contro il governi di centrodestra di Tambroni, con gli scontri del luglio che avevano insanguinato il Paese da Genova a Reggio Emilia alla Sicilia. Una nuova, storica, stagione politica stava avanzando, quella che avrebbe portato, non senza lacerazioni e polemiche, i socialisti di Pietro Nenni al governo con la Dc di Aldo Moro e Amintore Fanfani.

Pietrangeli ci riprovò ancora, purtroppo per lui senza successo. Sulla sua strada si parò la leggenda tennistica di Spagna, Manolo Santana, che ebbe la meglio su Nicola per due volte, nel 1961 e nel 1964. Furono recite memorabili di due insuperabili artisti della racchetta.

E la lunga mano di Pietrangeli si ritrova, in qualche modo, anche sul più recente successo italiano nello Slam parigino.
Nel 1976, anno del trionfo di Adriano Panatta, Nicola era capitano della squadra italiana di Coppa Davis. Insieme andarono in Cile per una vittoria sofferta più fuori che dentro il campo, giocata anche contro i tanti che chiedevano che la squadra azzurra boicottasse la finale nel paese del golpista Pinochet. Superate le proteste, l'Italia di Pietrangeli e Panatta conquistò la sua prima e finora unica "insalatiera".

E dire che Panatta, l'artista della "veronica", prima di diventarne l'erede, di Pietrangeli era stato rivale acerrimo, l'astro nascente contro il campione al tramonto. Il tennis in quegli anni aveva ormai cambiato pelle, da sport d'élite era diventato sport di massa: sulle tribune del Foro Italico, quando giocava Adriano il tifo era addirittura "calcistico", facendo storcere il naso ai "puristi". Una volta, durante una finale a Roma, Panatta, appassionato di calcio e rivale anche in questo del laziale Pietrangeli, prima di servire, si girò verso la tribuna per chiedere: «Che fa la Roma?».

E così come cambia lo stile del tennis, cambia anche la politica: l'Italia innova e tiene a battesimo quello che non ti aspetti, il governo della "non sfiducia":, un monocolore guidato da Andreotti che si regge sull'astensione di tutti i partiti, compreso il Pci. All'opposizione restano solo missini, Dp e Radicali. Tutto era cominciato quando nel '73, con i suoi articoli su «Rinascita» il segretario del Pci Enrico Berlinguer, analizzando le vicende del golpe militare in Cile aveva lanciato la proposta del compromesso storico tra le forze cattoliche, comuniste e socialiste. Fu l'avvio di una stagione contraddittoria , segnata da sforzi di dialogo – nel 1975 Gianni Agnelli, presidente di Confindustria e Luciano Lama, segretario della Cgil, avevano firmato l'accordo per il punto unico di contingenza – e da rotture, dall'emergere di nuovi protagonisti (nel '76 Bettino Craxi diventa segretario del Psi) e purtroppo funestata dalla presenza sempre più aggressiva del terrorismo, che sarebbe culminata nel '78 con il rapimento e la morte di Aldo Moro. In quel 1976 a Parigi Panatta aveva battuto nei quarti il grande Bjon Borg, poi, improvvisa, la disperazione. Le scarpette che il giocatore romano, per scaramanzia, calzava sempre nelle partite decisive sembravano introvabili. Ci furono frenetiche ricerche, il ritrovamento e in finale con l'americano Harold Salomon – era il 13 giugno 1976 – fu tutto facile.

Fu l'ultima presenza di un italiano in una finale dello Slam. L'Italia del 1976 è lontana, è addirittura in un'altra Repubblica. Il tennis di casa nostra è grande oggi soprattutto grazie alle ragazze. Martina Navratilova, che se ne intende, ha detto che nessuna ha un gioco vario come Francesca Schiavone. Sono parole beneauguranti. L'avversaria è un'australiana solida e ben piantata, ma l'azzurra ha una grinta da far paura. Può farcela, oh sì. E chissà che non sia un segno valido e per tutti.

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