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Il linguaggio segreto della mafia

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Questo articolo è stato pubblicato il 06 giugno 2010 alle ore 16:50.

Le organizzazioni criminali investono tempo e denaro per comunicare. E spesso questo tipo di comunicazione viene interpretata come bizzarria: è il caso, per esempio, dei morti incaprettati o dei morti ammazzati e ritrovati con gli organi genitali in bocca. E si potrebbe continuare ancora. E' questo un passaggio dell'intervento tenuto da Diego Gambetta, un torinese che insegna sociologia all'università di Oxford, che a questo tema ha dedicato un libro che si intitola appunto Codes of the underworld, how Criminals Comunicate) ovvero "La comunicazione criminale". Gambetta è intervenuto al Festival dell'Economia che si tiene a Trento in un incontro moderato da Dario Laruffa, giornalista del Tg2.

Il professore si è soffermato in particolare sull'attività di comunicazione (anche involontaria) dei mafiosi appartenenti a Cosa nostra messa in relazione all'attività di comunicazione dei terroristi: se i primi devono comunicare ai fini del controllo del territorio, i secondi hanno necessità di trasmettere un messaggio ai fini della propaganda per la causa che perseguono. E tra mafiosi e terroristi, nei differenti obiettivi perseguiti, ci sono elementi in comune: come la segretezza e l'affidabilità. Nel caso dei mafiosi, Gambetta ha raccontato un paio di aneddoti tratti dalle cronache che rendono l'idea di quali siano le regole tra criminali. La prima storia raccontata dal professore è tratta dal giornale The Katmandu Post: "Ali Hssain portavoce di Suganda Samity, l'associazione che raccoglie i 10mila ladri professionisti che operano a Daka, capitale del Bangladesh., racconta: abbiamo anche un servizio di spionaggio attraverso il quale i domestici ci danno informazioni dall'interno per derubare i loro padroni. In cambio, noi diamo a questi informatori una fetta dei guadagni ottenuti svaligiando le case". L'altra storia riguarda il gioco del lotto clandestino a Napoli: "Dei cittadini partenopei – dice il professore – per dimostrare la correttezza della camorra mi hanno detto: gli uomini della camorra vengono a casa a ritirare il bollettino giocato e i soldi ma poi tornano a portare il premio in caso di vincita. E' chiaro che se la camorra non rispetta le regole il gioco crolla: la fiducia è essenziale".

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Tags Correlati: Ali Hssain | Cristoforo Fileccia | Dario Laruffa | Diego Gambetta | Il professore | Sicilia | Suganda Samity | TG2 | Totò Riina | Totò U Curtu | Università di Oxford

 

C'è poi, tra le altre cose, una questione che riguarda l'essere mafioso e la necessità di apparire vitale: "L'uomo di cosa nostra non deve mai presentarsi come tale - dice il professore – ed è fatto obbligo al mafioso dichiararsi incompetente su tutto". C'è ancora la questione dei soprannomi: "che fa parte della cosiddetta comunicazione tra partner noti (tra singoli mafiosi) – dice Gambetta - . Una comunicazione che avviene spesso all'aria aperta (è conosciuta la passione dei mafiosi per la caccia ndr), a distanza attraverso linee speciali come radio su lunghezze d'onda particolari, pizzini trasmessi attraverso fiduciari, segni a linguaggi convenzionali, conversazioni in codice. E poi c'è il fatto che molti killer sono indicati dal soprannome: secondo uno studio sugli imputati del maxiprocesso a Cosa nostra abbiamo notato che il 60% degli imputati era indicato solo con il soprannome". Altra questione è quella della comunicazione a partner noti, ma alla moltitudine: Siccome la mafia non può utilizzare la mailing list – dice Gambetta – allora si è attrezzata. Ecco il perché dei cadaveri decorati delle vittime degli omicidi di mafia che non sono inutile primitiva brutalità ma segno di efficienza. Così come hanno u n significato il denaro, i sassi o i genitali che hanno un valore di icona, illustrano i motivi dell'omicidio e i media diffondono il messaggio gratis. Gli incaprettati sono un marchio per i traditori anche se ilo pentito Marsala ha poi raccontato che lo facevano solo perché veniva più semplice inserirli nel cofano delle macchine". Ci sono poi messaggi in una comunicazione d'emergenza: "Nel 1992 – racconta Gambetta – a cavallo delle stragi mafiose di Capaci e via D'Amelio l'avvocato palermitano Cristoforo Fileccia, che difendeva Totò Riina il capo dei capi, tenne una conferenza stampa per dire che il boss era vivo e in Sicilia".
Come sempre Totò U Curtu nei momenti difficili trova il modo di comunicare ai suoi e a chi di dovere.

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