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Questo articolo è stato pubblicato il 08 giugno 2010 alle ore 08:03.
Alberto Negri
I convogli per Gaza, dopo il ponte insanguinato della turca Mavi Marmara e la più pacifica Rachel Corrie irlandese, stanno trasformandosi in una flotta provocatoria e forse anche bellicosa con l'annnuncio che la Mezzaluna rossa manderà tre navi dall'Iran, non si capisce ancora se con la scorta o meno dei pasdaran. Questa Grande Armada mediorientale dei soccorsi contro l'embargo israeliano è il simbolo di una realtà contemporanea: lo spazio umanitario è diventato uno dei campi di battaglia delle nuove guerre. Le stesse organizzazioni non governative (Ong) oltre ai soccorsi trasportano politiche e ideologie che sono il segno dei tempi: nessun aiuto, anche il più soft, è uno strumento neutrale ma provoca in ogni caso mutamenti o reazioni, situazioni di confronto e di scontro con istituzioni, governi, gruppi armati. L'attore umanitario può diventare un nemico potenziale, una moneta di scambio, un bersaglio da colpire in operazioni di guerra, repressione o terrorismo.
Il passaggio storico avvenne nel 1967 con la guerra del Biafra quando un gruppo di giovani medici francesi fondò Medici Senza frontiere (Msf), che si proponeva di soccorrere le vittime del conflitto e della carestia non raggiunte dalla Croce rossa e dall'Onu. Dall'azione umanitaria "silenziosa", nello stile della Croce rossa, si passò al metodo della testimonianza, un cavallo di battaglia che con Msf si diffuse a quasi tutte le Ong del mondo. La denuncia è diventata così un dovere, al pari dei soccorsi alle popolazioni. E con una consapevolezza maggiore della "politica degli aiuti" sono arrivati anche i rischi: lo sfruttamento mediatico delle crisi umanitarie, le ingerenze indebite e persino le derive illegali.
L'aiuto umanitario può nutrire l'economia di guerra, mettere in gioco risorse e tempo per i gruppi armati, la stessa assistenza diventa l'obiettivo di raid, atti predatori e traffici illeciti. Le associazioni civili, per proteggere gli interventi e il personale, devono a volte fare affidamento sugli armati coinvolti perdendo la propria autonomia e accettando agende politiche definite da altri. Anche questo è uno dei rischi del mestiere, sia per le organizzazioni occidentali, laiche o religiose, che per quelle islamiche, sospettate, non sempre a torto, di simpatizzare con gli integralisti, una storia che cominciò con l'Afghanistan negli anni 80 per continuare un decennio dopo in Bosnia, Cecenia e Medio Oriente.