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Questo articolo è stato pubblicato il 08 giugno 2010 alle ore 08:05.
REGGIO CALABRIA - Radio carcere l'aveva annunciato e non poteva sbagliarsi: una bomba sarebbe stata piazzata presso la procura generale di Reggio Calabria. Colpire un'avvocatessa incorruttibile per lanciare messaggi, Giulia Dieni, non avrebbe conseguito lo stesso risultato intimidatorio contro il nuovo corso giudiziario. La 'ndrangheta non avrebbe raggiunto inoltre un altro obiettivo: intimidire la magistratura in vista del piatto milionario del Ponte sullo Stretto.
A distanza di cinque mesi dal fallito attentato (era il 3 gennaio) contro la procura generale di Reggio, il Sole-24 Ore ha potuto leggere la relazione che il procuratore generale Salvatore Di Landro ha spedito il 6 marzo al ministro della giustizia Angelino Alfano e al Csm. La ricostruzione sulle motivazioni dell'attentato – letteralmente definito professionale, preciso, arrogante e di violenza distruttrice – apre scenari finora sussurrati in alcune stanze della procura, che ora sono stati messi nero su bianco.
La situazione, rivoluzionata dal nuovo corso avviato a novembre 2009 da Di Landro, che pretende sul suo tavolo tutti i fascicoli e si blinda in procura per lavorare e pretende sacrificio da tutti, diventa tesa quando lo stesso Di Landro decide di sostituire, non senza resistenze e momenti di altissima tensione, nel corso del cosiddetto processo "Rende", il sostituto procuratore Francesco Neri (attualmente titolare di un delicatissimo processo contro tre banche). A Neri, Di Landro rappresenta i contatti comprovati da fotografie e anche precedenti mandati professionali che l'avvocato Lorenzo Gatto, che difendeva un imputato del processo "Rende", aveva ricevuto da Neri.
A denunciare l'incompatibilità tra Gatto e Neri era stato l'avvocato della parte civile, appunto Giulia Dieni, che il 20 gennaio, nel corso di una testimonianza resa al Tribunale, affermò che per quella denuncia radio carcere le avrebbe fatto mettere un'altra bomba (una l'aveva già ricevuta in passato). Motivo per il quale lei stessa aveva manifestato a Di Landro l'intenzione di rinunciare al mandato. «Io la tranquillizzai – scrive Di Landro al ministro – dicendole che non si poteva tollerare una sua rinuncia, che avrebbe fatto scattare in sede disciplinare il problema della condotta di Neri». Le motivazioni convinsero Dieni.