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Fisco: va bene pagare tutti ma va meglio pagare meno

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Questo articolo è stato pubblicato il 08 giugno 2010 alle ore 09:26.
L'ultima modifica è del 08 giugno 2010 alle ore 08:00.

Ogni volta che un governo in Italia propone di ridurre la spesa rallentando la crescita dei salari e dell'occupazione del settore pubblico, o aumentando l'età pensionabile o tagliando altre categorie di uscite discrezionali, o facendo pressione sulla spesa sanitaria di enti locali spreconi, subito si leva un coro di proteste che dicono: «Invece di tagliare la spesa e imporre sacrifici fate pagare le tasse a chi non le paga».


Il ragionamento apparentemente non fa una grinza, invece ne ha parecchie. Come faceva notare anche Alessandro De Nicola (Il Sole 24 Ore del 6 giugno), il prodotto interno lordo incorpora già una misura del sommerso e le imposte sono il 43% di questo Pil, comprensivo di sommerso appunto. Il 43% è un rapporto simile a quello di altri paesi europei con un'economia in nero minore della nostra.
Quindi gli italiani che pagano le tasse ne pagano davvero tante. In altre parole, immaginiamo per un attimo un mondo ideale in cui recuperassimo tutta l'evasione, che probabilmente viaggia intorno al 20% del Pil. Arriveremmo a circa il 60% di prelievo fiscale in rapporto al Pil. Questa sarebbe la mazzata finale all'economia italiana che entrerebbe in una rovinosa depressione.
Cosa significa questo? Che non bisogna combattere l'evasione fiscale? Assolutamente no, anzi. Ma tutto il recupero dell'evasione deve servire a ridurre le aliquote, in modo che chi le tasse già le paga abbia un reddito disponibile più alto e non vengano disincentivati lavoro e investimenti nella parte dell'economia non sommersa (come ha scritto Luca Paolazzi sul Sole 24 Ore del 5 giugno). Quindi è economicamente e politicamente sbagliato parlare nella stessa manovra di recupero dell'evasione e di tagli, per esempio, ai salari pubblici, perché si presentano le due azioni come alternative: più recupero di evasione meno tagli e viceversa.
Ma non deve essere così. Il flusso totale di imposte non deve salire oltre il livello a cui è già arrivato, anzi se possibile dovrebbe scendere. Non si può quindi recuperare l'evasione "invece" di aumentare l'età pensionabile o di ridurre l'impiego pubblico. La spesa deve scendere in ogni caso per poter ridimensionare il peso del fisco nell'economia. La riduzione dell'evasione deve essere un mezzo per ripartire in modo equo la tassazione stessa, non per farla aumentare nel suo complesso. Dal punto di vista politico combattere l'evasione dovrebbe quindi essere un obiettivo primario, non per ridurre il deficit senza tagliare la spesa ma per distribuire in modo equo il carico fiscale e guadagnare credibilità politica per poter abbassare la spesa.

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Riduzioni strutturali e serie alla spesa non passeranno mai se il governo non dimostrerà severità nella lotta all'evasione. Bisogna quindi togliere dal tavolo del dibattito politico «più recupero dell'evasione meno tagli di spesa». Questa idea va cancellata con una legge che obbliga il governo a ridurre le aliquote in modo da compensare con tagli di imposta tutto il recupero di evasione.


Ovvero bisogna mettere un vincolo al rapporto prelievo fiscale/Pil perché una valanga di evidenza empirica dimostra che a questi livelli di tassazione è impossibile ristabilire bilanci in pareggio e riduzione di debito senza concentrarsi solo dal lato della spesa. Se invece in ogni manovra si presenta sempre una riduzione dell'evasione come alternativa a tagli di spesa questi ultimi non hanno una chance politica in un paese con il 20% di evasione fiscale.
Finché non si esce da questa confusione non si faranno passi avanti seri sul sentiero del risanamento e purtroppo l'attacco alla manovra Tremonti, che pare venire dall'interno stesso del governo oltre che dall'opposizione, la sta annacquando e ciò non fa ben sperare.

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