Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 08 giugno 2010 alle ore 14:03.
Per capire cosa sta succedendo a Reggio, oggi, mentre io scrivo e voi leggete, bisogna partire da una storia paradigmatica che, dunque, meglio di ogni altra cosa è in grado di descrivere la dittatura militare delle cosche che si dividono rigidamente ogni angolo di questa splendida città. Una dittatura alla quale i reggini ormai non provano neppure a ribellarsi, al punto che le due manifestazioni di solidarietà organizzate per la Procura generale, dopo la bomba trovata nella notte del 5 gennaio 2010, sono state un drammatico flop.
Alla prima manifestazione, organizzata da Libera, si e no 150 persone. I fedelissimi insomma. Alla seconda, che pure poteva contare sul tam tam del Comune, dei sindacati e dei partiti, si e no 500 persone. Sapete quanti abitanti conta Reggio Calabria? Ve lo dico io: 186.233.
Bene. La storia che mi è stata raccontata da chi sta investigando con enorme fatica cercando di rompere il muro di omertà, è questa. Due furfantelli dell'Est, assolutamente slegati dalle cosche, hanno la sventurata idea di compiere una rapina in un ufficio postale. Uno viene casualmente preso da una pattuglia dei Carabinieri, l'altro riesce a scappare. Nella notte accade, nello stesso quartiere, una cosa che ha dell'incredibile.
Una bottiglia incendiaria preparata da qualche improvvisato quaquaraqua senza alcun collegamento con le cosche, qualche altro cane sciolto che voleva mettersi in mostra, colpisce le saracinesche di uno storico rivenditore, presente sulla piazza da 50 anni. Insomma, un'istituzione.
Due episodi, tra il giorno e la notte, di disturbo alla quiete imposta dalla cosca del quartiere: troppo. Intollerabile. Bisognava reagire.
E così parte la giustizia del boss. Il giorno successivo vengono trovate due auto incendiate: una era del rapinatore dell'est catturato, l'altra del suo complice sulle cui tracce le Forze dell'Ordine si erano invano messe. Lo cercano dopo questa insperata imbeccata ma non lo trovano più. Sparito.
Lo stesso giorno un emissario del boss si reca dal proprietario dello storico esercizio commerciale e lo rassicura: continua a pagare noi e non rivolgerti allo Stato, qui la Giustizia siamo noi. E chi è stato a compiere l'attentato allora, chiede il meschineddu? Stai tranquillo, non c'è più, è stata la risposta dell'emissario. Questa è Reggio Calabria, anno domini 2010. Incredibile direte! No, assolutamente normale.
(Il brano è tratto dal libro di Roberto Galullo, «ECONOMIA CRIMINALE. Storie di capitali sporchi e società inquinate», pubblicato dal Sole 24 Ore e in edicola fino al 20 giugno).