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Questo articolo è stato pubblicato il 09 giugno 2010 alle ore 18:57.
Nel mercoledì delle elezioni davanti al Parlamento all'Aja si fa ancora campagna, e il ministro degli Esteri uscente, il democristiano Maxime Verhagen, è lì che incontra la gente, fa le foto con gli elettori, sorride cercando di recuperare consensi per il suo partito, il Cda, in caduta libera. Né si tira indietro di fronte alle domande sul futuro, sullo spettro di un'alleanza con lo xenofobo Pvv di Geer Wilders.
Se i liberali del Vvd dovessero vincere come hanno pronosticato gli ultimi sondaggi, infatti, non sarebbe improbabile una coalizione a tre (Vvd, Cda, Pvv) che peraltro potrebbe non bastare. «La politica di Wilders non ci piace: non approviamo il suo approccio di chiusura ad alcuni gruppi della società» dice Verhagen, riferendosi agli immigrati, cui Wilders fa la guerra da sempre.
«Per questo speriamo che prenda pochi voti, e che quindi pesi poco sulla scena politica», continua senza peli sulla lingua. Ma chi si contempla allora per un'alleanza? «Senz'altro D66», partito centrista, sensibile ai temi dell'istruzione e della ricerca. Se anche così fosse, la maggioranza dei 76 seggi per formare la coalizione resta lontana, stando ai sondaggi. Per Mark Rutte, 43enne leader dei liberali e possibile premier, si prevedono per lui giornate di lunghe trattative. (E. Di Caro)