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Questo articolo è stato pubblicato il 10 giugno 2010 alle ore 09:03.
L'ultima modifica è del 10 giugno 2010 alle ore 08:48.
Non solo la teoria economica ma anche il buon senso ci insegnano che il modo migliore per creare un vantaggio competitivo è quello di scegliere una strategia che i nostri rivali non possono replicare. Per questo le imprese leader aumentano gli investimenti per spiazzare i concorrenti che non hanno le risorse finanziarie per realizzarli. Per questo il ciclista provetto attacca in salita per distanziare i rivali più deboli.
Per questo gli Stati Uniti di Ronald Reagan accelerarono la corsa al riarmo per fare implodere un'Unione Sovietica dotata di un'economia che non poteva sostenere lo stesso livello di spese belliche di quella americana.
È difficile non leggere in questo senso anche la recente manovra economica della cancelliera tedesca Angela Merkel. Pur non necessitando di una stretta fiscale (gli investitori si stanno riversando sui titoli tedeschi per la loro affidabilità), il governo ha approvato una serie di misure per ridurre il deficit di bilancio, ma anche per aumentare gli investimenti in educazione e ricerca tecnologica.
Di fronte al Sud Europa che arranca per tenere il passo, la Merkel accelera. Invece di aiutare i partner europei, costretti a tagli di bilancio, non tanto con sussidi ma con una politica fiscale espansiva che stimoli l'economia europea e allevi i costi economici e sociali della recessione, la Germania riduce il proprio deficit, amplificando il costo della contrazione fiscale dei partner. Non solo, ma affretta il passo investendo per aumentare la crescita della sua produttività, spiazzando gli altri paesi dell'area euro che di questi investimenti avrebbero molto bisogno, ma non possono permetterseli.
È una manovra brillante per trasformare il vantaggio competitivo di cui gode oggi la Germania, in termini di costo del lavoro e di solidità fiscale, in un vantaggio di lungo periodo. Una manovra brillante, ma fortemente antieuropeista.
Purtroppo questa deriva antieuropeista tedesca non è il frutto di una reazione istintiva alla crisi greca, ma la logica conseguenza di un rinato "egoismo" tedesco.
L'anno scorso, di fronte allo stupore del mondo, i tedeschi in piena recessione approvarono una norma costituzionale che limitava i deficit di bilancio dal 2016 in poi al di sotto dello 0,35% del Pil. Per raggiungere questo obiettivo il governo dovrebbe ridurre il deficit di circa 10 miliardi di euro all'anno, arrivando a un taglio complessivo di 40 miliardi nel 2014 e 60 miliardi nel 2016. I tagli approvati l'altro giorno arrivano a ridurre il deficit di "solo" 27,6 miliardi nel 2014. Sono quindi inferiori a quelli necessari per soddisfare il requisito costituzionale. In altri termini, dobbiamo aspettarcene degli altri.