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L'emigrazione non conosce crisi

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Questo articolo è stato pubblicato il 10 giugno 2010 alle ore 08:27.
L'ultima modifica è del 10 giugno 2010 alle ore 08:04.

Come si spiega la superiore capacità di resistenza degli immigrati, rispetto ad altri del settori del mondo del lavoro, di fronte ai duri colpi inferti in questi anni dalla crisi all'occupazione e ai redditi di tanti? Una domanda che è d'obbligo visto che i dati più recenti sulle rimesse degli immigrati, oltre a smentire la Caporetto che molti avevano per loro ipotizzata o sperata, testimoniano, al contrario, una straordinaria tenuta della manodopera straniera sui mercati del lavoro nazionali.


Basta leggere le tabelle dell'ultimo rapporto pubblicato dalla World Bank Migration and Development secondo cui gli emigrati, contro ogni previsione, hanno spedito nel 2008 verso le rispettive madre patrie somme per un ammontare globale pari a 338 miliardi di dollari. Una cifra superiore a quella dell'anno precedente che, nonostante un leggero calo nel 2009, comunque inferiore a quanto stimato in precedenza, tornerà a crescere, sia pure di poco, nel 2010. Numeri ben diversi da quelli assai più negativi registrati in questi stessi anni in tanti altri settori del mondo del lavoro e dell'economia. Che hanno tre fondamentali spiegazioni.
La prima attiene alle specifiche dinamiche interne del fenomeno migratorio. Il ciclo economico negativo del mondo industrializzato ha infatti determinato un forte rallentamento dell'arrivo di nuovi immigrati, in particolare di quelli irregolari, ma non ha scoraggiato né spinto alla resa quelli già in loco. Come testimonia il clamoroso fallimento di tutti i programmi di rimpatrio varati da molti governi. Per la semplice ragione che non basta una "una tantum" per convincere un immigrato a tornare a casa. Quando sa di trovare lì una situazione comunque peggiore di quella che lascia e nella quale, per di più, difficilmente potrà in seguito rimettere piede.


La seconda spiegazione è nella struttura e nella composizione della popolazione immigrata. Fatta sempre più di famiglie che hanno come obbiettivo assoluto quello di garantire ai figli un futuro diverso da quello lasciato con l'esodo. E che rappresentano la principale fonte delle rimesse verso quelli che si sono lasciati alle spalle al momento di partire. Il denaro alla madrepatria, infatti, non perviene dagli immigrati ultimi arrivati. Ma da quanti sono già da tempo insediati. C'è inoltre da tenere presente che essendo le rimesse una frazione dei redditi delle famiglie straniere, la loro gestione presenta caratteristiche di elevata flessibilità che consente loro di fronteggiare anche i momenti peggiori del ciclo economico.

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Tags Correlati: Banca Mondiale | Mercato del lavoro |

 


L'ultima e più decisiva spiegazione della resistenza "anticiclica" del lavoro immigrato attiene, però, al tipo di mansioni che esso svolge. Soprattutto nei servizi del terziario e di quelli alla persona, che risentono poco e comunque assai meno di altri delle fluttuazioni negative del mercato. E che il crescente rifiuto loro opposto da parte del mondo del lavoro nazionale contribuisce a rendere indispensabili fin quasi all'intoccabilità. Una situazione che per paradosso viene vista da molti disoccupati "locali" come una rendita di posizione. Ingiusta e immotivata che spiega molte ragioni del loro rancore sociale e del rifiuto nei confronti di chi, venuto da fuori, sta meno peggio di tanti tra quelli di "dentro".

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