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Questo articolo è stato pubblicato il 15 giugno 2010 alle ore 08:36.
L'ultima modifica è del 15 giugno 2010 alle ore 08:37.
Il ping pong sull'equiparazione dell'età pensionabile tra commissione europea e governo italiano sembra essersi concluso, con il nostro paese costretto a corrispondere appieno alle richieste Ue, dopo anni di procedure di infrazione, promesse, condanne, resistenze, e recentissime tirate d'orecchie.
Risultato: l'età pensionabile delle donne, intanto nel pubblico impiego, verrà equiparata a 65 anni dal 2012. "La politica del giorno dopo", che mai riesce a governare e indirizzare per tempo le riforme necessarie al paese, ha offerto un variegato spettacolo, come spesso accade quando si parla di donne: il governo, manco fosse Don Rodrigo, si è giustificato dicendo che «questa riforma non s'aveva da fare», ma che purtroppo «l'Europa ci ha costretto a farla rapidamente, senza sentir ragioni»; altri, non sempre lungimiranti, gridano al tradimento nei confronti delle donne; in più, vi sono alcune proposte su come utilizzare i risparmi derivanti dalla manovra, che non paiono improntate all'insegna del progresso e dell'emancipazione femminile.
Eppure noi radicali da qualche anno andiamo ripetendo che la riforma è necessaria e, anzi, che occorrerebbe estenderla presto al settore privato.
Le stime sui risparmi derivanti da tale riforma variano tra 1,450 miliardi in dieci anni (secondo il recente calcolo di Tremonti) e 2,3 miliardi in otto anni (alcuni mesi fa annunciati invece da Brunetta, anche se le cifre che circolano sono molteplici). Quel che è certo è che dal 2020 i risparmi derivanti dalla riforma saranno pari a zero. È necessario, quale che sia la somma esatta, che questa non sia oggi destinata a fare "cassa" perché il tasso di occupazione femminile in Italia è tra i più bassi d'Europa e la disoccupazione femminile non se la passa bene. Ma da sempre la tenaglia delle donne in Italia è l'inattività, la vera "tomba dell'occupazione", che tocca cifre altissime: oltre 3,5 milioni le donne scoraggiate che hanno rinunciato a cercare un impiego (secondo le ultime rilevazioni sulle forze lavoro, però, l'inattività femminile diminuisce, seppur in maniera contenuta, mentre aumentano le donne che cercano un impiego. Un effetto "perverso" della crisi da seguire con attenzione). Tra i motivi principali dell'inattività femminile (secondo diverse indagini) vi è la mancanza di servizi adeguati di cura e assistenza.