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Questo articolo è stato pubblicato il 17 giugno 2010 alle ore 08:02.
MILANO
Hajime Yamashina è il sensei, il maestro giapponese del World Class Manufacturing. È un accademico di professione molto noto all'estero e poco amato a casa sua. In un paese particolare come il Giappone, infatti, viene osservato con sospetto, dato che avrebbe lavorato parecchio, per alcuni troppo, con gli stranieri e perché, a detta dei cultori dell'ortodossia del management nipponico, avrebbe "sporcato" la purezza del metodo Toyota.
A poco più di sessant'anni Yamashina, che insegna al Department of Precision Engineering dell'Università di Kyoto, ha infatti trascorso buona parte della sua vita professionale in giro per il mondo, ad adattare i precetti del toyotismo alle differenti mentalità dei suoi clienti, prima di tutto le grandi corporation dell'auto americana. Un toyotismo, dunque, passato negli anni 80 al vaglio del pragmatismo degli Stati Uniti, dove ha assunto il nome di World Class Manufacturing, e poi diffusosi in Europa.
All'inizio del 2009 Yamashina è a Pomigliano, dove spiega agli operai e agli ingegneri, impegnati in un programma di formazione purtroppo vanificato dal calo della domanda mondiale e dalla dura regola della Cig, la teoria e la prassi del "muda" e del "kaizen", cioè della lotta allo spreco e del miglioramento continuo. È proprio questa la caratteristica di Yamashina: arriva in un paese, cerca di cogliere i tratti della sua cultura industriale e modula su di essi i principi del toyotismo. Pomigliano, però, e in generale gli impianti della Fiat guidata da Marchionne, non rappresentano la prima sfida in un paese complesso come l'Italia. Da noi, infatti, questo docente-consulente descritto dagli amici italiani come un «samurai nell'anima, del tutto occidentalizzato nei modi e nello stile» è arrivato nei primi anni 90, portato da Antonio Roversi, docente del Politenico di Milano che lo ha coinvolto nelle attività del Mip e della società di consulenza Com Metodi: è allora che Yamashina fa il consulente alla Pirelli, alla Ansaldo e alla Indesit Company. Dunque, il professore di Kyoto conosce bene dall'interno il capitalismo italiano: ha già provato a migliorare qualità e processi in un grande gruppo privato, in un'azienda post-pubblica e in una media impresa a controllo familiare.