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Questo articolo è stato pubblicato il 18 giugno 2010 alle ore 09:20.
Umberto Bossi ha rotto gli indugi. Incontra prima Gianfranco Fini e poi annuncia che in serata vedrà Giulio Tremonti. Intercettazioni e manovra sono gli argomenti al centro dei faccia a faccia con il presidente della Camera e il ministro dell'Economia. Bossi vuole trattare. Segnali ne aveva già inviati mercoledì. Ma ieri è stato più che esplicito.
Il leader della Lega dice che tanto il ddl sulle intercettazioni che la manovra vanno cambiati. Che non si può andare contro il Colle né contro le regioni. Bossi – dopo che per giorni aveva sostenuto la linea del premier sulla blindatura alla Camera delle intercettazioni e difeso il ministro dell'Economia dalle critiche dei governatori contro i tagli – ha deciso di smarcarsi.
Il j'accuse diretto di Roberto Formigoni contro una manovra che «mette a rischio il federalismo», con i due neogovernatori del Carroccio – Cota e Zaia – costretti ad andare a rimorchio del loro omologo lombardo sottoscrivendo il documento fortemente critico della conferenza delle regioni e, dulcis in fundo, il rischio di incagliare la Lega su una partita come quella sulle intercettazioni, che potrebbe «offuscare» il lavoro di Roberto Maroni al Viminale, hanno convinto Bossi che la strategia del temporeggiamento doveva essere rapidamente archiviata.
E così, mentre Silvio Berlusconi a Bruxelles evitava qualunque commento con i giornalisti, a Roma il senatur non lesinava osservazioni e proposte. «Se si va testa a bassa non risolvi le cose, se invece si tratta, si parla e si risolvono», ha detto il leader del Carroccio a proposito del confronto sulle intercettazioni. Ma lo stesso ragionamento vale per la manovra. E in questo caso la partita è addirittura più complicata, visto che in ballo ci sono i "piccioli".
«È un bel problema...», ammette Bossi prima di incontrare Tremonti. L'obiettivo della Lega è di inserire un «principio» che in qualche modo tuteli chi ha ben amministrato. Ma è un'ipotesi difficilmente praticabile. Anche perché potrebbe minare la tenuta della maggioranza, visto che le cosiddette «regioni virtuose» si trovano quasi solo al Nord e che sono proprio quelle meridionali le amministrazioni che già ora rischiano di subire le conseguenze più forti. Senza contare che sulla manovra le divisioni tra finiani e berlusconiani non sono affatto così nette. È vero che la pattuglia di senatori che fanno riferimento al presidente della Camera vuole caratterizzarsi con uno specifico pacchetto di emendamenti. Ma non è detto – anzi è probabile – che almeno una parte sia condivisa anche dal resto del partito.