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Lombardia e Piemonte le più colpite

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Questo articolo è stato pubblicato il 18 giugno 2010 alle ore 08:55.

Non è un caso che la protesta contro la manovra veda da giorni in prima fila i governatori del centro-destra. Su tutti Roberto Formigoni e Renata Polverini che sono apparsi sempre accanto al presidente della conferenza delle regioni, l'emiliano (e democratico) Vasco Errani. Proprio Lombardia e Lazio, infatti, si collocano al primo e al terzo posto della classifica per sacrifici imposti dal Dl 78.
Come dimostrano le elaborazioni di provenienza regionale, anticipate sul Sole 24 Ore del 9 giugno, degli 8,5 miliardi di tagli alle regioni ordinarie nel prossimo biennio – a cui si aggiungono gli 1,5 chiesti alle speciali – l'amministrazione lombarda dovrebbe rinunciare a più di 1,3 miliardi di euro destinati a finanziare le funzioni amministrative delegate dalle leggi Bassanini. Quella laziale perderebbe invece 860 milioni. In mezzo il Piemonte guidato dal leghista Roberto Cota con 873 milioni.

Passando alla distribuzione settoriale, il più colpito sarebbe ovunque il trasporto locale davanti agli incentivi alle imprese e all'edilizia popolare. Pullman e corriere, però, sono al tempo stesso il servizio pubblico più dipendente dagli assegni regionali, l'unico settore industriale strutturalmente in deficit, e le società sono sul piede di guerra. «Il taglio – calcola Marcello Panettoni, presidente dell'associazione che le rappresenta (Asstra) – è nell'ordine del 30%; siccome le tariffe coprono circa un terzo dei costi, per mantenere i conti le aziende dovrebbero triplicare il prezzo del biglietto, e convincere gli utenti a non abbandonare il servizio». Un allarme raccolto anche dal ministro degli Affari regionali Raffaele Fitto secondo cui, per risolvere il problema, il governo rimetterà mano alla tabella che distribuisce i sacrifici fra i comparti.
Per i governatori la sforbiciata rappresenta un duro colpo al federalismo. Forse quello mortale poiché «cancella quasi tutti i trasferimenti per funzioni regionali», come precisato nel documento votato all'unanimità martedì scorso dalla conferenza. Con l'aggravante, ripetono da giorni in coro, che il taglio è stato disposto in maniera lineare e senza i criteri di premialità previsti dalla legge 42 sul federalismo fiscale.

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Tags Correlati: Comitato Esecutivo | Lazio | Lombardia | Marcello Panettoni | Ministero per gli Affari Regionali | Piemonte | Raffaele Fitto | Regioni | Renata Polverini | Roberto Calderoli | Roberto Cota | Roberto Formigoni | Vasco Errani

 

Di diverso avviso il ministro della Semplificazione Roberto Calderoli che invita a tenere separate le due partite. Ricordando come il testo del decreto dica esplicitamente che della riduzione dei trasferimenti non si terrà conto quando andrà stabilito l'ammontare del finanziamento da fiscalizzare per permettere alle regioni di coprire e perequare integralmente i servizi collegati alle funzioni fondamentali (in primis sanità, istruzione e assistenza). Che saranno erogati a costi standard e non più rimborsati in base alla spesa storica.

L'impressione è che proprio l'approdo ai costi standard rappresenterà la pietra angolare capace di reggere (o meno) l'intero sistema. L'esecutivo lo metterà nero su bianco nella relazione che sarà presentata in parlamento entro il 30 giugno. In quella sede verrà ribadito che le uscite delle regioni finora sono avvenute in maniera così incontrollata da accumulare ampie sacche di inefficienze. Su cui, sostiene il governo, il passaggio al federalismo e alla responsabilizzazione dei vari livelli di governo permetterà finalmente di incidere. E anche per questo, nella commissione paritetica per l'attuazione guidata da Luca Antonini, si lavora febbrilmente per stabilire i criteri di calcolo dei costi e dei fabbisogni standard che finiranno in due dei cinque decreti attuativi (insieme a quello su Roma capitale e alla coppia su tributi comunali e provinciali) indicati da Calderoli come in dirittura d'arrivo. Uno dei parametri sarà la cosiddetta «emersione delle consistenze», cioè l'obbligo di certificare i bilanci sanitari sei mesi prima delle elezioni.
Ciò che la relazione non dirà esplicitamente è quante risorse l'esecutivo conta di liberare con il passaggio ai costi standard. Una prima stima parla di 4 miliardi per le regioni a cui se ne aggiungerebbero 2-2,5 da province e comuni.

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