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Fmi in campo anche per i privati

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Questo articolo è stato pubblicato il 19 giugno 2010 alle ore 10:10.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2010 alle ore 10:14.

Il peggior incubo finanziario che incombe sull'economia mondiale è l'insolvenza di una grande banca internazionale. Che accada a causa di un default sovrano o di gravi perdite accumulate sfruttando regole contabili compiacenti, l'insolvenza di una grande banca (soprattutto se europea) è una possibilità tutt'altro che remota. Per quanto remota sia una possibilità, tuttavia, dovremmo sapere da quanto ci ha insegnato la crisi finanziaria del 2008 che anche gli eventi più rari si possono verificare.

A rendere questa ipotesi l'incubo finanziario numero uno, più grave ancora del crollo della Lehman Brothers nel 2008, è la preoccupazione che molti stati sovrani abbiano già sparato tutte le cartucce di cui disponevano e pertanto sarebbero impossibilitati a intervenire. I credit default swaps (Cds) delle più importanti banche dell'Europa meridionale si scambiano a cifre leggermente inferiori dei Cds degli stati sovrani, segno che il mercato non considera i secondi in grado di sostenere i primi. Purtroppo, a quasi due anni di distanza dal crollo di Lehman, è stato fatto molto poco per dare adeguata soluzione a questo rischio.

Il Congresso degli Stati Uniti è in procinto di portare a compimento l'approvazione di un disegno di legge che conferirà autorità e poteri decisionali sui principali istituti finanziari statunitensi a un consiglio sistemico di recente costituzione. Le procedure necessarie a innescare questo intervento, tuttavia, sono complesse e i finanziamenti sono a tal punto opachi che la legge in questione non eliminerà i danni collaterali arrecati dal fallimento di una grossa banca perfino per le istituzioni statunitensi, per non parlare di quelle internazionali, per rimediare ai quali sarebbe necessario l'intervento coordinato di numerosi stati, con vari gradi di solvibilità.

Per ridurre al minimo il rischio di un crollo incontrollabile, è necessario che si approvi un meccanismo di risoluzione internazionale che abbia poteri su tutti i più importanti istituti finanziari internazionali. L'obiettivo non sarebbe quello di salvare le banche e i loro creditori, bensì di ridurre al minimo lo scompiglio totale che un default incontrollato di tal fatta potrebbe determinare.

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Tags Correlati: Anna Bissanti | Fmi | Fusioni e Acquisizioni | Haiti |

 

Questo ente dovrebbe essere la versione internazionale del Capitolo 11 del Codice di procedura fallimentare degli Stati Uniti. Tuttavia, mentre scopo dichiarato del Chapter 11 è salvare il valore in corso di un'azienda, l'obiettivo di un meccanismo di intervento internazionale dovrebbe essere quello di preservare il valore in corso delle controparti delle istituzioni finanziarie insolventi.

Il primo problema da risolvere per approvare questo meccanismo è decidere chi debba averne l'autorità. La risposta prevedibile è il Fondo monetario internazionale. Creato all'indomani della Seconda guerra mondiale per finanziare i temporanei squilibri dei membri di un sistema a tasso di cambio fisso, l'Fmi è stato in cerca di una nuova causa alla quale votarsi dai tempi in cui - nel 1971 - ha avuto fine il sistema a tasso di cambio basato sul dollaro.

Cosa ancor più importante, tramite i suoi numerosi salvataggi di stati sovrani, l'Fmi ha acquisito esperienza nella ristrutturazione del debito, sviluppando al contempo una reputazione di inflessibilità e imparzialità, che tornerebbe assai utile in tali contingenze.
L'Fmi ha altresì il vantaggio pressoché unico di essere l'unico depositario delle riserve internazionali. In assenza di un'autorità fiscale internazionale, l'Fmi è quanto di più vicino possa esservi. Quando una grande istituzione finanziaria è insolvente, l'Fmi dovrebbe assumerne il controllo, garantendone gli obblighi a breve termine, ma eliminando tutti gli azionisti e ripagando i creditori a lungo termine soltanto dopo che tutti gli altri creditori (incluso lo stesso Fmi) siano stati ripagati. Alcuni commenteranno sicuramente che ciò equivale a parlare di nazionalizzazione, ma non è una nazionalizzazione proprio come non lo è il Capitolo 11 del Codice fallimentare americano.

Che il controllo sia assunto da un'organizzazione internazionale presenta tre indubbi vantaggi rispetto a un'eventuale soluzione interna. Prima di tutto garantisce che i costi (se le perdite superano il valore del debito azionario e a lungo termine) sono condivisi dalla comunità internazionale e non soltanto dal paese nel quale ha sede l'istituzione in questione, rendendo credibile l'intervento, anche qualora lo stato sovrano non lo sia.

Il secondo vantaggio è che togliendo potere decisionale al governo nazionale nel quale è ubicato l'ente insolvente, questa soluzione riduce al minimo le potenziali distorsioni create dal potere lobbistico dei banchieri in carica. Vi fidereste del governo greco se fosse quest'ultimo a dover gestire una banca greca in modo esente da corruzione alcuna, dopo che il governo ne abbia assunto il controllo? Sicuramente il Fondo monetario.

Infine, grazie al coinvolgimento dell'Fmi, anche i paesi meno sviluppati potrebbero essere in grado di sfruttare con profitto i migliori esperti internazionali incaricati di risolvere il problema. Se un'enorme fuoriuscita di greggio a Haiti stesse minacciando le acque del Golfo del Messico, non vorremmo che la marea nera fosse contrastata dalla migliore tecnologia possibile in assoluto (e non soltanto dalla migliore tecnologia presente a Haiti)? Perché le cose dovrebbero funzionare in modo diverso nei mercati finanziari?

L'ultimo problema a dover essere risolto è lo stimolo. Nel caso dell'autorità statunitense, questa è stata una questione molto controversa. Il timore era che le banche più potenti avrebbero sfruttato l'aiuto del governo nazionale, chiedendone l'intervento troppo presto.
Due garanzie possono contribuire a eludere questo problema in ambito internazionale. Primo: rigide regole che spazzino via gli azionisti e penalizzino i creditori a lungo termine sono un chiaro deterrente dal punto di vista dei banchieri. Secondo: poiché l'intervento dell'Fmi ridurrebbe l'influenza dei potenti addetti ai lavori interni, un intervento prematuro sarebbe di gran lunga meno allettante per loro. Lo stimolo dovrebbe essere il governo interno stesso: rifiutare l'aiuto internazionale in simili circostanze corrisponderebbe a un vero e proprio suicidio elettorale per qualsiasi governo che si trovasse alle prese con un crollo di vasta portata delle banche.

Esistono pochi ambiti nei quali è risaputo che l'intervento del governo crea valore, e ridurre i devastanti effetti di un tracollo delle banche è uno. Potrebbe riuscirci soltanto un governo sufficientemente autorevole e potente, in termini di autorità legale e di solvibilità. Purtroppo, nello scenario internazionale odierno questi due presupposti non sono soddisfatti pressoché mai. Concedere all'Fmi i poteri e l'autorità per poter intervenire e acquisire il controllo degli istituti bancari internazionali falliti colmerebbe questa grossa lacuna, e allontanerebbe il nostro incubo peggiore.

(Traduzione di Anna Bissanti)
© PROJECT SYNDICATE, 2010
www.project-syndicate.org

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