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Intervista al ministro Brancher: «Non toccherò le competenze di Bossi o Calderoli, a me spetterà la fine del percorso»

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Questo articolo è stato pubblicato il 21 giugno 2010 alle ore 19:27.

Per dirla con un berlusconiano doc, profondo conoscitore degli umori del Cavaliere e che chiede l'anonimato, il neoministro Aldo Brancher «è una sorta di casco blu per il governo, mandato in campo da Berlusconi per evitare che lo scontro interno alla Lega e la tensione sul federalismo fiscale possano riverberarsi sull'esecutivo minandone la stabilità. Il premier ha voluto inserire una forza di interposizione per dire chiaro ai leghisti che questa partita vuole giocarla lui e lo farà attraverso uno dei suoi uomini più fedeli». Un uomo che, tra l'altro, ha già dato prova di essere un fine mediatore tra il Carroccio e Berlusconi visto che nel 2001 fu proprio lui il regista dell'accordo che portò l'allora Casa della libertà alla vittoria elettorale.

Vista dal Pdl la nomina di Brancher porta dunque con sé letture diverse. Ma a prevalere è soprattutto l'idea che Brancher sia stato "salvato" dalla scure della giustizia offrendogli uno scudo processuale. Molti, moltissimi, dentro il Pdl guardano infatti soprattutto a quella scalata alla Banca Antonveneta orchestrata da Giampiero Fiorani in cui l'ex sacerdote paolino deve rispondere di appropriazione indebita. La nuova udienza è alle porte (Brancher dovrebbe presentarsi davanti ai giudici il prossimo 26 giugno) e parecchi ex azzurri fanno notare il tempismo perfetto tra la designazione e il processo, persuasi che non servisse affatto un altro ministro per portare a casa una riforma molto più cara al Carroccio di quanto non lo sia per gli ex forzisti.

Il 24° ministro del governo Berlusconi ha comunque le idee molte chiare e le illustra al Sole24ore.com. Si dice deluso dal trattamento che la stampa gli ha riservato e ci tiene innanzitutto a precisare che il suo dicastero sarà realizzato «utilizzando risorse strumentali e organizzative già presenti con costi contenuti e che il suo obiettivo sarà portare a conclusione le cose che rischiano di essere fatte fino a un certo punto e non nei tempi previsti o perché manca un coordinamento o perché alcune hanno più fretta di altre». Un esempio? «Il trasferimento di competenze dallo Stato al territorio. Un primo intervento è stato fatto dal ministro Bassanini nel 2001 poi più nulla e questo è un primo traguardo che mi sono dato». Poi, aggiunge, «mi occuperò di coordinare quelli che sono i decreti attuativi del federalismo fiscale con i professionisti che va a intaccare, che sono poi tanti ministeri». Perché, è il ragionamento, del neoministro, «non basta approvare un decreto, il difficile viene dopo».

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Così Brancher tratteggia i suoi prossimi impegni. A cominciare dal federalismo demaniale. «Qui bisognerà stabilire prima di tutto quali sono i beni inseriti nell'elenco del Demanio e preoccuparsi di dove andranno e a chi saranno assegnati, e soprattutto capire come verranno utilizzati. Poi ci sono 2 milioni di immobili fantasma che ci sono stati segnalati, io dovrò interpellare gli enti locali e per verificare il dato e la sua consistenza». In altri termini, il neoministro dovrà facilitare e velocizzare la riforma federalista.

La sua nomina, però, ha provocato parecchi maldipancia nel centro-destra. E la precisazione del Senatur che ieri, dal palco di Pontida, ha rassicurato il suo popolo. «Sono io l'unico ministro per il federalismo». Brancher non sembra comunque turbato. «Io non toccherò né le competenze di Bossi né quelle di Calderoli, a me spetterà la conclusione del percorso». Una sorta di "facilitatore" della riforma federalista, almeno stando alle sue parole. Perché, per la verità, dentro il Pdl più di qualcuno lo vede piuttosto come «un ammortizzatore». Il federalismo, è l'analisi di un esponente di lungo corso del Pdl, «rischia di introdurre molti elementi di incertezza nella stabilità finanziaria del Paese in un momento già complicato e quindi bisogna semmai prendere tempo».

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