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La semplificazione impone tempi difficili da rispettare

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Questo articolo è stato pubblicato il 21 giugno 2010 alle ore 08:39.

Il regolamento sulle autorizzazioni paesaggistiche "semplificate" è finalmente arrivato in porto. La prova dei fatti dirà se riuscirà ad alleggerire la burocrazia e a garantire tempi più rapidi per il 75% degli interventi, il cui elenco è stato parzialmente rimaneggiato: da 42 sono stati ridotti a 39. La lista, comunque, continua a comprendere i piccoli ampliamenti, le demolizioni e ricostruzioni a parità di volume e di sagoma, gli interventi sui prospetti e sulle coperture, la realizzazione o la modifica di box pertinenziali (fino a 50 mc), gran parte delle opere riguardanti le aree pertinenziali, i pannelli solari, termici e fotovoltaici (fino a 25 mq).

Purtroppo, però, la struttura dell'elenco continua a individuare gli interventi soggetti ad autorizzazione semplificata e nel contempo (per gran parte di essi) a fissare condizioni restrittive, rischiando di produrre tantissime incertezze in fase applicativa. Peraltro, non è facile capire la logica di molte condizioni restrittive. Per esempio: perché limitare l'autorizzazione semplificata agli ampliamenti non superiori al 10% e a 100 mc (poco più di 30 mq) ed escluderla nei centri storici, quando comunque una valutazione paesaggistica dell'intervento viene fatta e permette a chi ne ha la competenza (ed eventualmente alla soprintendenza) di esprimersi sulla sua compatibilità?

Quanto alla procedura "semplificata", l'elemento fondamentale resta quello della riduzione dei tempi massimi di rilascio dell'autorizzazione: 60 giorni invece dei 105 dell'autorizzazione ordinaria (120 nel caso di conferenza di servizi). Ma così si è di fatto tornati ai tempi previsti dal codice dei beni culturali fino al 31 dicembre 2009, e non per tutte le autorizzazioni, ma soltanto per quelle semplificate.

Per il resto, i professionisti non dovranno fare molto meno di quello che hanno sempre fatto. Anzi, in realtà dovranno fare qualcosa di più, perché il regolamento (in contraddizione con l'articolo 146 del codice) impone alle amministrazioni di accertare preliminarmente la conformità urbanistico-edilizia dell'intervento. Il problema è superabile facilmente con l'asseverazione del progettista quando l'intervento è assoggettato a denuncia di inizio attività (e meno male che molte Regioni ne hanno allargato l'applicabilità) o quando l'amministrazione competente in materia paesaggistica lo è anche in materia urbanistico-edilizia (il comune). Ma quando così non è – le competenze paesaggistiche possono essere anche delle regioni, delle province, dei parchi, delle comunità montane –, la domanda di autorizzazione deve essere accompagnata da un'attestazione di conformità urbanistico-edilizia rilasciata dal comune, che non si sa come possa essere acquisita se al comune non viene presentato un progetto edilizio.

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Nella procedura definita dal regolamento rimane poi la questione del parere della soprintendenza, che dovrebbe essere reso nel termine, privo di ogni credibilità, di 25 giorni dalla richiesta. È vero che il regolamento dispone chiaramente che superato questo termine senza che la soprintendenza si sia espressa, l'amministrazione competente è tenuta comunque a emanare il provvedimento conclusivo (l'autorizzazione o il prediniego).

E così di fatto succederà nella stragrande maggioranza dei casi, come ci ha insegnato l'esperienza di questi primi sei mesi di applicazione della nuova procedura per il rilascio delle autorizzazioni ordinarie. Proprio sulla base di questa esperienza, però, il regolamento poteva essere più realistico e, poiché riguarda gli interventi di "lieve entità", introdurre una più coraggiosa semplificazione con l'esenzione, per quegli interventi, del parere della soprintendenza. Anche perché che la soprintendenza sia titolare di un parere che non viene espresso, o che non sia titolare di un parere (almeno per le autorizzazioni semplificate), non fa molta differenza.

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