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Questo articolo è stato pubblicato il 22 giugno 2010 alle ore 08:57.
L'ultima modifica è del 22 giugno 2010 alle ore 08:57.
L'intervento del presidente della Repubblica va interpretato come un aiuto al governo e al Parlamento perché si concentrino in questo momento sull'unica vera priorità, ossia la manovra economica e la salute dei conti pubblici. Non c'è interferenza nella sfera legislativa: semmai si coglie nelle parole di Napolitano la volontà di attutire e se possibile disinnescare tensioni superflue. Non è un mistero che l'ansia di Berlusconi nel voler a tutti i costi approvare la legge sulle intercettazioni, sia pure emendata, prima della pausa estiva rischia di alimentare il clima sbagliato.
Se la priorità è l'economia, se ne deduce che tutto il resto può aspettare. Si tratta di calibrare i tempi e di misurare le scelte parlamentari, senza inutili forzature che rischiano di riflettersi in modo negativo sul quadro generale. È un principio che dovrebbe risultare accettabile per tutti e che peraltro era già stato enunciato nelle scorse settimane dal presidente della Camera.
Si potrebbe aggiungere che le centinaia e centinaia di emendamenti presentati dalla stessa maggioranza alle misure di Tremonti rendono ineludibile che il governo si preoccupi di far quadrare il cerchio della manovra prima di dedicarsi a qualsiasi altra attività. C'è molto da fare, e non solo per riassorbire gli emendamenti senza danni (ce n'è persino uno sul condono edilizio nelle aree protette, sconfessato a quanto sembra dall'esecutivo). I problemi posti dalla Conferenza Stato-Regioni, attraverso il binomio Formigoni-Errani, devono ancora trovare una risposta, il che richiede un notevole lavoro supplementare. Oltre a una qualche forma di dialogo con il centrosinistra.
È logico quindi che Napolitano abbia consigliato tra le righe al premier di non accanirsi adesso con le intercettazioni. Berlusconi farebbe bene ad accettare il suggerimento. Anche perché i rapporti interni al centrodestra si stanno increspando non poco. La singolare vicenda del neoministro Brancher è istruttiva. L'operazione è piaciuta talmente poco a Bossi che si sta addirittura cercando di cambiare il nome al misterioso dicastero per l'«attuazione del federalismo», le cui competenze restano indefinite. Del resto, proprio il fatto che il Quirinale non abbia obiettato alla nomina, dovrebbe far riflettere il presidente del Consiglio.