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Questo articolo è stato pubblicato il 23 giugno 2010 alle ore 08:04.
Una bomba telecomandata ha fatto saltare in aria un autobus che trasportava dei militari, uccidendo quattro soldati e un'adolescente, figlia di un ufficiale, e ferendo 15 persone ieri mattina a Istanbul. È il primo attacco a Istanbul dal luglio 2008, quando i terroristi curdi uccisero 17 persone in una affollata strada commerciale della città sul Bosforo.
Un'azione rivendicata da un gruppo estremista curdo, che secondo le autorità di Ankara non è altro che il Pkk, il Partito del lavoratori del Kurdistan. «È un attacco pianificato contro un veicolo militare», ha affermato il gruppo dei Falchi della libertà del kurdistan (Tak), promettendo di intensificare la lotta contro la Turchia, che «progetta un massacro di curdi». I Tak in passato hanno rivendicato vari attentati commessi soprattutto a Istanbul.
Secondo Ankara, invece, si tratta dei ribelli del Pkk, che usano questo falso nome quando vengono commessi attacchi che possono incorrere nella disapprovazione popolare, quando cioè vengono uccisi dei civili. Il Pkk afferma che gli uomini del Tak sono cani sciolti fuori controllo.
«La recente impennata di violenza del Pkk suggerisce che l'organizzazione insurrezionale sta entrando in una nuova fase, che potrebbe vedere un aumento degli attacchi, sia nel Sud-est della Turchia e nelle aree metropolitane nella parte occidentale del paese», ha detto Wolfango Piccoli, analista di Eurasia Group. «Ma l'obiettivo a lungo termine è far saltare l'intesa tra Ankara e Barzani, leader del Governo regionale del Kurdistan iracheno», ha affermato Piccoli.
Il premier Recep Tayyip Erdogan ha accusato il partito curdo in un discorso ad Ankara ai parlamentari di maggioranza, affermando che «l'organizzazione terroristica», definizione ufficiale delle autorità turche del Pkk, ne è responsabile. Nel weekend il Pkk aveva annunciato attacchi «in tutte le città della Turchia». Il movimento ha moltiplicato le iniziative militari contro Ankara dopo che a maggio il suo leader Abdullah Ocalan, detto Apo, ha annunciato dal carcere sull'isola di Imral che poneva fine a tutti gli sforzi per dialogare con il governo. «Non cederemo al linguaggio della violenza», ha risposto il premier, aggiungendo che il Pkk «si trova in un tunnel senza uscita». Ma anche Ankara non sembra in una condizione migliore.