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Come non perdere la guerra di Kabul

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Questo articolo è stato pubblicato il 24 giugno 2010 alle ore 08:26.

A Barack Obama ne capita una al giorno. Non bastava la crisi economico-finanziaria. Non erano sufficienti le due guerre ereditate dal predecessore, le promesse rimangiate su Guantanamo e i continui tentativi dei jihadisti di colpire ancora in territorio americano. È arrivata anche la fuoriuscita di petrolio al largo della Louisiana a fargli perdere sonno e gradimento dei connazionali. Era difficile però immaginare che la sua presidenza potesse vacillare sul serio per colpa di un'avventata intervista di un generale a un'attempata rivista della cultura hippie con copertina su Lady Gaga.

Obama ha deciso di rimuovere il generale Stanley McChrystal dal ruolo di comandante delle forze armate americane in Afghanistan. Non è stata una scelta semplice. Non è stato come cambiare un sottosegretario ai Trasporti. L'America guida una coalizione internazionale, di cui l'Italia è parte non secondaria, impegnata a combattere una guerra necessaria per il futuro libero e pacifico non solo degli afghani, come ha ricordato ieri il presidente, ma dell'intero pianeta.
Obama non poteva fare altrimenti, dopo la grossolana leggerezza commessa da McChrystal. Resta da capire come mai un intellettuale di rango come il generale che ha guidato per anni le operazioni speciali dell'esercito americano, catturato Saddam e ucciso Al Zarkawi abbia potuto cedere alla vanità di un profilo su un magazine pop. Non sappiamo cosa sia passato per la mente di McChrystal in quella settimana in cui è rimasto tra Parigi e Berlino a contatto diretto con il giornalista di Rolling Stone. L'idea che il vulcano Eyjafjallajokull, cancellando il volo del generale verso Kabul, gli abbia fatto abbassare la guardia rende l'episodio ancora più paradossale. Se McChrystal fosse rimasto al suo posto, Obama avrebbe dato di sé l'immagine di commander in chief incapace di guidare il mondo in guerra e mantenere la rotta strategica nel teatro Af-Pak, termine usato dai militari per indicare Afghanistan e Pakistan, due dei tre fronti della risposta di Washington agli attacchi islamisti dell'11 settembre 2001. Al posto di McChrystal, Obama ha messo il capo del Central Command: David Petraeus, mentore del generale rimosso, stratega ed esecutore della svolta politica e militare in Iraq del 2007.

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Obama ha scelto l'uomo migliore a disposizione dell'apparato militare americano. Un generale intellettuale che, grazie alla leadership mostrata da George W. Bush nel finale della sua presidenza, è riuscito a cambiare la dinamica del conflitto in Iraq, smentendo le previsioni funeste dell'establishment politico di Washington.
La speranza di Obama è che Petraeus possa ripetere il successo in Afghanistan. Il dubbio è che non sarà facile guidare le operazioni belliche day-by-day a Kabul e mantenere la distanza necessaria a coordinare il Centcom da Tampa, in Florida.
La strategia in Afghanistan, ha ribadito ieri Obama, si basa sulla counterinsurgency (anti-insurrezione), punta a sconfiggere il nemico qaedista e talebano e a ricostruire il paese, piuttosto che limitarsi a combattere il terrorismo come da tempo suggerisce il vicepresidente Joe Biden. Obama ha scelto questa linea dopo dieci lunghi seminari nella Situation room della Casa Bianca, su indicazione di Petraeus e della sua esperienza in Iraq.
In teoria dovremmo stare tranquilli, visto il profilo di Petraeus e il precedente di Baghdad. Ma, di nuovo, non è così semplice. Gli alleati non sono più entusiasti dell'impresa, se mai lo sono stati. I britannici cominciano a rumoreggiare alla notizia del trecentesimo caduto, mentre ieri vicino a Shindand è morto un altro dei nostri connazionali.

Nell'annunciare la sostituzione dei generali, Obama ha ricordato che «siamo una nazione in guerra» e che «non c'è alcun cambio di strategia». Uno sforzo ulteriore forse andrebbe fatto. Sarebbe il caso di mandare a Kabul un ambasciatore capace d'interpretare la stessa strategia del generale e di cominciare a costruire il pilastro politico, piuttosto che tenersi un sostenitore della linea minimale alla Biden. Mandare più truppe e annunciarne subito il ritiro forse appaga le esigenze elettorali interne, ma non aiuta a vincere la guerra. Caro presidente, ascolti il suo fido Rahm Emanuel: «Mai sprecare una crisi, perché dà l'opportunità di fare grandi cose». Una di queste è vincere la guerra.

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