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Il disagio della maggioranza tra cause apparenti e ragioni sostanziali

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Questo articolo è stato pubblicato il 24 giugno 2010 alle ore 08:25.
L'ultima modifica è del 24 giugno 2010 alle ore 09:29.

Il malessere che corrode dall'interno la maggioranza è evidente da settimane, ma non è chiaro se e quando esploderà. Per ora sappiamo che Berlusconi avrebbe voglia di riprendere in mano i destini del centrodestra, mettere in riga Fini, rassicurare Bossi, raggiungere un compromesso sulla manovra economica, far approvare la legge sulle intercettazioni prima di agosto nonostante i rilievi del Quirinale.
In altre parole, il presidente del Consiglio vorrebbe tornare a esercitare a pieno titolo quella leadership che negli ultimi tempi è apparsa appannata e a tratti persino confusa.

Senza dubbio egli avverte il rischio di logorarsi e soprattutto di non riuscire più a controllare la frammentazione della maggioranza in gruppi o correnti che a volte si combattono e a volte si accordano tra loro, ma senza troppo riguardo verso l'autorità del capo, garante della coesione.

La sensazione è di un malessere con origini profonde, che tuttavia si esprime nella maggior parte dei casi facendo leva su temi secondari, qualche volta meramente strumentali. O simbolici. Ad esempio la polemica sulla Padania tra Fini e Bossi. Se per Padania s'intende il richiamo alla «questione settentrionale», si parla di un tema politico serio. Ma se si vuol descrivere un'area geografica definita da una storia, una tradizione o una cultura omogenee, ha ragione il presidente della Camera.

La «querelle» non è molto interessante, e neanche originale, ma nel clima di tensione che si respira a Roma ha dato lavoro ai quotidiani per un paio di giorni. E abbiamo visto un Bossi che nel giro di una settimana ha fatto il mediatore nella capitale (sulle intercettazioni), poi ha mostrato prudenza a Pontida e infine ha dato voce alla sua insofferenza («dieci milioni di padani sono pronti a battersi»). Arrivando a ironizzare sulla nazionale di calcio («si compreranno la partita con la Slovacchia»).

Frase, quest'ultima, senz'altro poco opportuna: strano da parte di un uomo che di solito è molto attento a quello che dice e non dice. E infatti Bossi si è corretto con scuse ufficiali alla squadra azzurra. L'episodio è assai minore, però testimonia di questo disagio diffuso e irrisolto. Certo, se la maggioranza deve incrinarsi, non sarà certo per l'antipatia di Fini verso la Padania o per i giudizi di Bossi sulla nazionale. C'è dell'altro, ma cosa?

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Tags Correlati: Berlusconi | Bossi | Camera dei deputati | Comitato Esecutivo | Gianfranco Fini | Lega | Legislazione | Padania | Roma |

 

In realtà ci si muove su due piani. Da un lato Berlusconi ha caricato di infiniti significati simbolici la legge sulle intercettazioni. E a questo punto il rinvio gli sembra una sconfitta inaccettabile. Tuttavia il testo è meritevole di correzioni alla Camera e qualsiasi forzatura creerebbe contraccolpi istituzionali. Berlusconi non vuole correre rischi, ma nemmeno vuole apparire sconfitto. Teme il logoramento, ma non sa come risolvere il conflitto con Fini. E in questa contraddizione si accentua l'impressione di un leader incerto e indeciso. Quasi un vicolo cieco.

Bossi a sua volta vede i problemi della maggioranza e teme che finiscano per rovesciarsi sulla Lega. Si rende conto che le difficoltà del quadro economico generale, rese più acute dal contrasto fra le regioni e il governo centrale, sono suscettibili di ritardare e forse addirittura di compromettere il federalismo. E ha paura che nei palazzi romani siano in atto manovre per indebolire l'asse settentrionale che sostiene l'esecutivo. Per adesso il malessere non esplode, ma cresce ogni giorno. Minaccioso.
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