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Questo articolo è stato pubblicato il 24 giugno 2010 alle ore 08:08.
ROMA - Una settimana fa si era schierata fianco a fianco al presidente della Camera Gianfranco Fini e alla sua alter ego sulla Giustizia, Giulia Bongiorno, convinta della necessità di un «approfondimento». Ieri, però, la Lega ci ha ripensato: le audizioni di magistrati, poliziotti, giornalisti, procuratori antimafia e degli altri esperti indicati da Pd, Idv e Udc non servono. «È ora di riprendere il dibattito interno, senza perdere tempo», taglia corto Carolina Lussana, glissando le domande sui motivi di questa improvvisa piroetta. E così, il capogruppo del Pdl in commissione Giustizia, Enrico Costa, forte del ritrovato appoggio del Carroccio, insiste a dire che «sarebbe molto strano fare audizioni su un testo che arriva alla Camera in terza lettura». Il testo è il ddl intercettazioni e sarà la Bongiorno, presidente della commissione Giustizia, a dirimere la questione. L'organizzazione dei lavori, in mancanza di accordo, non spetta alla maggioranza, ma richiede la quasi unanimità; altrimenti decide il presidente. Che si è preso ventiquattr'ore di tempo. Il sì alle audizioni è scontato: la Bongiorno, relatrice del ddl, vuole approfondire il testo licenziato dal Senato, «completamente diverso da quello approvato alla Camera un anno fa», ha rimarcato ieri l'opposizione; il dubbio è sul numero delle audizioni, che potrebbero essere scremate rispetto ai desiderata del Pd.
Il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo non prende posizione. Al momento, la priorità del governo è trovare l'accordo politico sulle modifiche al testo. Le vuole Fini; le auspica il Quirinale. Cercheranno di mediare il guardasigilli Angelino Alfano e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta. Il Capo dello Stato ha ribadito che non vuole partecipare a trattative ma, senza modifiche, la legge resterebbe al palo. Piuttosto, Napolitano ha esortato la maggioranza a evitare forzature sui tempi e ad accantonare il ddl ora che il Parlamento è impegnato con la manovra economica, per evitare nuove tensioni con l'opposizione (ieri l'Idv ha confermato che farà le «barricate» e il Pd ha preannunciato un «doveroso ostruzionismo») e nel Pdl (i finiani insistono per le correzioni). Accelerare, quindi, potrebbe diventare un boomerang. E uno strappo istituzionale. «L'importante è risolvere il problema politicamente - diceva ieri il vicecapogruppo Pdl al Senato, Gaetano Quagliariello -. Non vogliamo che scoppi una crisi istituzionale, faremo di tutto per evitare che questa ipotesi non sia neanche all'ordine del giorno». Quanto basta per rafforzare l'ipotesi di uno slittamento a settembre del ddl, dopo una breve apparizione in Aula a fine luglio, primi di agosto.