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Questo articolo è stato pubblicato il 26 giugno 2010 alle ore 08:04.
Le dimissioni del generale Stanley McChrystal da comandante della missione degli Stati Uniti e della Nato in Afghanistan devono accelerare la revisione di una strategia militare fallimentare. E a questa revisione si deve accompagnare una maggiore unità da parte dei funzionari dell'amministrazione Obama. La nomina del generale David Petraeus arriva in un momento critico, quando la crisi in Afghanistan sembra sgretolare la compattezza dell'Occidente.
Sullo stile di governo del presidente Hamid Karzai, incoerente e mosso da interessi personali, è stato detto molto. Non altrettanto nota all'opinione pubblica è la natura disfunzionale della squadra di Obama. Dal momento della loro nomina, gli alti funzionari che decidono la politica americana nella regione sono ai ferri corti. La Casa Bianca non consulta Richard Holbrooke, il rappresentante speciale del Dipartimento di stato nella regione. A Kabul, il generale McChrystal e il generale in pensione Karl Eikenberry, l'ambasciatore americano, a tratti non si parlavano quasi. E Eikenberry e Ann Patterson, l'ambasciatrice americana in Pakistan, hanno forti divergenze con Holbrooke. Al Pentagono i generali non concordano sull'atteggiamento da tenere nei confronti dei leader civili di Afghanistan e Pakistan. Il problema che cova sotto la cenere è la riluttanza generale ad accettare la scadenza fissata da Obama (l'inizio del ritiro americano dall'Afghanistan a luglio del 2011). Come mi ha detto un ufficiale, «non si può combattere una guerriglia stando a guardare l'orologio».
Di fronte alla necessità di mettere un coperchio su questo calderone ribollente, Obama ha presentato il licenziamento di mercoledì come la dimostrazione della preminenza del potere civile su quello militare. Ha lanciato messaggi duri, spiegando ai vertici delle forze armate la necessità di rispettare pienamente l'autorità del governo, e ai suoi diplomatici e funzionari che le diatribe interne devono cessare.
Questi dissapori risalgono in parte alle rivalità emerse durante le primarie democratiche, fra la squadra di Obama e quella della sua concorrente alla nomination Hillary Clinton, ora segretario di stato. L'evidente mancanza di controllo ha demoralizzato gli alleati degli Usa, che già fanno molta fatica a conservare il consenso dell'opinione pubblica interna.