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Questo articolo è stato pubblicato il 26 giugno 2010 alle ore 10:46.
L'ultima modifica è del 26 giugno 2010 alle ore 11:20.
Il passaggio più surreale del pasticciaccio brutto di Brancher-ministro è la precisazione degli avvocati sulle ragioni del legittimo impedimento. Quasi che il duro e inconsueto comunicato del Quirinale fosse banalizzabile alla logica leguleia di un processo di provincia. Il caso Brancher non è più nelle mani dei suoi avvocati. E forse neppure di Brancher stesso. Ma in quelle del presidente del Consiglio.
È il premier, evidentemente, a essere chiamato direttamente in causa dallo stringato comunicato con cui il capo dello Stato ha contestato il legittimo impedimento del neo-ministro. Troppo plateale e immediata è stata la richiesta degli avvocati di Brancher per non far apparire esplicite, al Colle innanzitutto, le ardite ragioni della sua nomina.
Perciò è il premier, a questo punto, a dover dare una soluzione a una vicenda nata male e gestita peggio. Tanto più che il blitz che ha regalato al paese un quinto ministro con competenze sul federalismo è stato malvisto da gran parte della maggioranza. Questa volta non è solo la consueta fronda degli uomini di Fini: è l'ira dell'alleato numero uno Umberto Bossi, informato tardi e male, sono i malumori interni allo stesso Pdl, è la frustrazione del l'opinione pubblica tutta, a cominciare da quella del centro-destra, che poco ha capito, e meno ha gradito, un'operazione dal forte sapore dell'immunità di casta.
Quell'opinione pubblica ora aspetta un segnale da Berlusconi. E il premier ha davanti a sé due strade. La prima, quella maestra, è chiedere a Brancher di fare un passo indietro e dimettersi da ministro. Sarebbe la conclusione più comprensibile per un caso che non doveva neppure iniziare. Altrimenti, ottenere dal suo ministro la rinuncia a qualsivoglia immunità processuale. Altre strade non ce ne sono.
Post scriptum: da tre mesi il ministero dello Sviluppo è senza un titolare a tempo pieno. Intanto si è consumato il caso di Termini Imerese e altre decine di vertenze industriali aspettano di essere seguite da una politica più attenta. È troppo chiedere che al posto di un ministro un po' abusivo se ne faccia un altro che tanto è necessario?