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Questo articolo è stato pubblicato il 26 giugno 2010 alle ore 18:18.
Anche gli azzurri del rugby, oltre a quelli del calcio, lasciano il Sudafrica. Lo fanno con due sconfitte al passivo, contro i campioni del mondo in carica, che sette giorni fa si sono imposti 29-13 e oggi pomeriggio, a East London, hanno replicato con uno scarto ben più consistente, 55-11 (e sette mete a una). Sostanzialmente, nemmeno oggi gli azzurri hanno deluso dal punto di vista del temperamento, ma si sono trovati di fronte i campioni del mondo in una versione differente rispetto al primo test match.
Più determinato e più concentrato, il Sudafrica, che comincia a sentire l'odore di Tri Nations: il torneo tra le grandi dell'emisfero Sud comincia il 10 luglio proprio con gli Springboks impegnati in Nuova Zelanda . L'Italia, dal canto suo, era in una versione più "sperimentale", con nove cambi decisi dal ct Nick Mallett per provare dall'inizio quasi tutti i componenti della spedizione azzurra per questo tour. Insomma, il gap si è allargato per motivi logic nel pieno rispetto dei valori (tecnici, ma anche fisici) esistenti su un fronte e su un altro. I nostri hanno dato quanto era nelle loro possibilità, si sono sacrificati al massimo in difesa e hanno anche provato a proporsi in attacco. Bene la prima linea, soprattutto in mischia chiusa, il solito Parisse (ben affiancato in terza linea da Derbyshire e Vosawai), un Masi combattivo come sempre.
Il Sudafrica è andato avanti come un rullo, forse ispirato anche dal rientro di un giocatore carismatico come il capitano Smit, e ha sbagliato molto meno di sette giorni prima. Tra le armi preferite, l'avanzata della mischia in maul "palla in mano" dopo rimesse laterali vinte senza problemi: una piattaforma utile anche per avviare più di un'azione da meta. La resistenza azzurra è stata sgretolata con il tempo. Alla mezz'ora il punteggio era su un più che accettabile 13-6, ma due mete nella parte finale della prima frazione (segnate da Steyn, autore in tutto di 26 punti, e da Spies) scavavano già un solco importante.
Si andava al riposo sul 27-6 e nel giro di 20 minuti i padroni di casa aggiungevano altre tre segnature. Si poteva temere addirittura un diluvio, ma l'Italia non si lasciava andare e, anzi, al 25' trovava la propria meta, grazie a una buona azione offensiva: spostamento graduale del gioco da sinistra verso destra, fino a un calcetto di Gower che mandava il pallone in area di meta, dove per primo arrivava Michele Sepe, trequarti alla prima marcatura in azzurro. Da 48-11 si passava al definitivo 55-11 per la settima e ultima meta degli Springboks (firmata dal pilone B. J. Botha, anche in questo caso una primizia).