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Tremonti spiega come uscire dal Medioevo per liberare le imprese

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Questo articolo è stato pubblicato il 26 giugno 2010 alle ore 08:03.

1 Le regole giuste sono un investimento. Le regole sbagliate sono un costo. Le regole possono essere sbagliate in sé, ma possono essere sbagliate anche perché sono troppe.
Il mondo è radicalmente cambiato con la globalizzazione. La competizione, non solo tra imprese ma tra interi sistemi, fa ormai parte della realtà. In linea di principio si può essere a favore o contro la competizione economica globale. Ma in concreto non si può fare finta che non ci sia, illudersi che tutto possa continuare come prima.

Nello scenario globale l'Italia ha davanti a sé l'alternativa tra declino e sviluppo. Se si vuole il declino, basta lasciare le cose come stanno. Se invece si vuole lo sviluppo, si deve cambiare, scambiando una parte di quello che abbiamo accumulato con un futuro che può essere conquistato. Dobbiamo o possiamo, per salire, scaricare una parte della zavorra.

2Alcuni dati danno la cognizione di quanto stiamo dicendo. Lo scorso anno la Gazzetta Ufficiale ha pubblicato 15.923 pagine di provvedimenti. La tabella non dà conto di tutta la regolamentazione, che contando delibere, regolamenti locali ecc. costituisce una massa ben maggiore.

3Che effetto produce questa bulimia giuridica, questa massa crescente e sconfinata di regole? Basta una tabella (Fonte: Doing Business 2008)

4Come agire su questa massa di regole, per ridurla? Una prima ipotesi è quella dell'«abrogazione». È questa senz'altro una buona pratica, ma non risolve definitivamente il problema. Le uova depositate dal serpente legislativo si riproducono, infatti, in continuazione e anzi, paradossalmente, tra il beneficio che dà l'abrogazione di una legge e il maleficio costituito dallo stress normativo che l'innovazione comunque causa, il saldo rischia di rimanere comunque negativo.
Una seconda ipotesi è quella della «delegificazione», passare cioè dalla legge al regolamento, che è come passare dalla padella alla brace. Perché i regolamenti sono più pesanti delle leggi ed essendo intercambiabili più frequentemente e pur sempre costituendo regole, non alleggeriscono ma comunque appesantiscono la "burocrazia".
La terza ipotesi è quella della «semplificazione». I processi e i metodi adottati in passato nel nostro paese non sono stati risolutivi; le norme dirette a semplificare si sono infatti spesso strutturate esse stesse come "lenzuoli" normativi che a loro volta hanno prodotto decreti legislativi torrenziali e dunque ulteriori alluvioni di normative.

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Tags Correlati: Alexis De Tocqueville | Bicamerale D'Alema | Italia | Sia

 

In sintesi le pratiche sopra citate hanno prodotto risultati insoddisfacenti: come i tentacoli dei mostri mitologici, per ogni legge delegificata rinasceva un regolamento, per ogni norma di semplificazione rinascevano una o più norme di complicazione. In sintesi, oggi, per effetto del peso della burocrazia, l'Italia è esclusa dai primi 30 posti della classifica dei paesi dove è più conveniente investire. Occorre aprire una nuova prospettiva sia sul piano costituzionale sia su quello della legislazione ordinaria, a ogni livello istituzionale.

5La strategia legislativa che intendiamo concretizzare si articola in due fasi:
– una prima fase a livello di legge ordinaria (la Sia , segnalazione di inizio attività, appoggiata alla nuova disciplina dello sportello unico);
– una seconda fase che dà copertura costituzionale e definitività al principio di responsabilità, all' autocertificazione, al controllo ex post, estendendoli con la sua forza obbligatoriamente a tutti i livelli dell'ordinamento, superando così i problemi del complicato riparto delle competenze legislative.

6All'obiezione sui tempi lunghi della legge costituzionale si può rispondere ricordando che la legge costituzionale istitutiva della Bicamerale D'Alema è stata approvata in 4 mesi (agosto compreso).
Pare corretto assumere che la legge costituzionale di cui sopra, per la sua non minore importanza (!), possa ottenere dal Parlamento uguale impegno.

7 Occorre prendere atto del fatto che il nodo di Gordio, la metafora millenaria della semplificazione, non si scioglie ma si taglia con un colpo di spada. Non ci sono alternative: la maglia delle regole che pesa sull'economia e la soffoca, cresciuta a dismisura negli ultimi tre decenni e aggrovigliata dalla moltiplicazione delle competenze – centrali, regionali, provinciali, comunali – è ormai divenuta tanto soffocante da creare un nuovo Medioevo. Dietro la follia regolatoria c'è qualcosa che in realtà va nel profondo dell'antropologia culturale: una visione dell'uomo che è o negativa o riduttiva.
La visione negativa è quella della gabbia (l'homo homini lupus). Il lupo va ingabbiato: è Hobbes. Da questa filosofia sono derivati l'assioma e la contrapposizione moderna fra pubblico e privato, dove «pubblico» è stato assiomaticamente associato a «morale» e «privato» a «immorale».
La visione riduttiva si basa invece sull'assunto che l'uomo non è certo a priori negativo ma che è tuttavia insufficiente a se stesso, in parte incapace di fare da solo il suo bene. A esso soccorre dunque la benevolenza del potere pubblico. Questi due pregiudizi hanno impiantato un nuovo Medioevo. Come nel vecchio Medioevo tutta l'economia era bloccata da dazi e pedaggi d'ingresso e di uscita, alle porte delle città, nei porti, nei valichi, così il territorio attuale è popolato da un'infinità di totem giuridici.
È stato Alexis De Tocqueville, in La democrazia in America, a scolpire profeticamente la più efficace sintesi del processo che oggi ci troviamo, nonostante tutto, a subire: «Il sovrano estende il suo braccio sull'intera società; ne copre la superficie con una rete di piccole regole complicate, minuziose ed uniformi, attraverso le quali anche gli spiriti più originali e vigorosi non saprebbero come mettersi in luce e sollevarsi sopra la folla; esso non sprezza le volontà, ma le infiacchisce, le piega e le dirige; raramente costringe ad agire, ma si sforza continuamente di impedire che si agisca, non distrugge, ma impedisce di creare, non tiranneggia direttamente, ma ostacola, comprime, snerva, estingue, riducendo infine la nazione a non essere altro che una mandria di animali timidi ed industriosi della quale il governo è pastore. Ho sempre creduto che questa specie di servitù regolata e tranquilla, che ho descritto, possa combinarsi meglio di quanto si immagini con qualcuna delle forme esteriori della libertà e che non sia impossibile che essa si stabilisca anche all'ombra della sovranità del popolo».

8 Il Medioevo vero è finito come Medioevo. Ma il nuovo Medioevo, che ci si presenta come la caricatura giuridico democratica di quello precedente, ci porta a una dolce morte.
Non è questa la visione che abbiamo. Non è quello che vogliamo. Dobbiamo e possiamo uscire da questa trappola. Perché della persona abbiamo invece una visione positiva, perché crediamo giusto investire sulla capacità di produrre ricchezza sociale ed economica, sulla capacità di concorrere al bene comune. Sull'uomo non abbiamo un pregiudizio. Abbiamo un giudizio: con Sant'Agostino, che riconosceva l'esistenza di una socialità originaria, di una civitas primaria che nasce dalla socialità propria della natura umana; e che è un ordine che ha una sua bellezza propria (Agostino, De vera religione 26, 48).
In sintonia con questo giudizio, abbiamo una visione positiva della persona, delle sue associazioni, della sua capacità d'intrapresa. Questo giudizio è il vero antidoto alla crisi in atto. Se cambiamo visione, se adottiamo la nostra visione, può cambiare il metodo politico: si può (si deve) considerare il cittadino, prima che come un controllato dallo Stato, come una risorsa della collettività; si può sostituire il controllo ex ante della Pa (che fa perdere tempo in burocrazia) con un controllo ex post (che avviene senza ritardare l'inizio dell'attività); si può considerare il bene comune non più come monopolio esclusivo del potere pubblico, ma come un'auspicata prospettiva della responsabilità nell'agire privato.

9 L'articolo 41 della Costituzione italiana dispone quanto segue: «L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali».
È stata formulata l'ipotesi di modificarlo radicalmente, per adattarlo dopo cinquant'anni. Non crediamo che sia l'idea giusta: nel "vecchio" articolo 41 ci sono comunque elementi fondamentali. Tuttavia, crediamo che sia arrivato il tempo per operare un aggiornamento, che sia arrivato il tempo di intervenire su quell'articolo, integrandolo per rimuovere quell'interpretazione che ha innescato la deflagrazione delle regole. Anche perché il contesto politico nel quale l'articolo 41 è stato scritto conteneva latente l'idea di attenuare il conflitto di classe, l'idea di mitigare l'opposizione tra capitale e lavoro, l'idea di ridurre il rischio dell'eccesso del dominio degli uni sugli altri. Mentre ora, all'opposto, la questione non è quella di fare un arbitraggio tra parti sociali per difendere gli uni dagli eccessi degli altri. In realtà oggi sono tutti, ricchi e poveri, forti e deboli, sotto il peso della massa giuridica, di una massa giuridica che è uscita di controllo e che si alimenta in modo mostruoso.

10 È stato obiettato che l'articolo 41 della Costituzione ha funzionato perché non ha impedito nessuna legge di semplificazione. È vero, è anche però vero che non ha neppure impedito nessuna legge di complicazione! È per questo che con la legge costituzionale che il governo intende proporre non solo viene "potenziato" l'articolo 41, in raccordo con la modifica dell'articolo 118, ma lo si fa diventare anche un baluardo costituzionale contro la complicazione normativa, vincolante per tutti i livelli dell'ordinamento.
Ministro dell'Economia

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