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Gozi invoca uno shock cultural-generazionale per il Pd, Fidanza (Pdl) si sente tremontiano

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Questo articolo è stato pubblicato il 02 luglio 2010 alle ore 08:04.

Chi sono le promesse di Pdl e Pd al Nord? Chi sono i giovani dirigenti politici chiamati a fare gli sforzi maggiori in questa fase? E quali obiettivi si prefiggono per i loro partiti e i loro elettori? Abbiamo incontrato alcuni di loro in un viaggio a tappe nella politica del Nord, dove la Lega resta la grande protagonista, ma alleati di governo e rivali si preparano a darle filo da torcere.

Imbrigliati nelle maglie dei vecchi leader di partito? Problema trasversale, che riguarda sia il centrodestra sia il centrosinistra, dato questo sistema elettorale dove emergere con una linea propria rispetto a quella di chi decide le liste, è molto più difficile.
Carlo Fidanza, classe 1976, un passato nel Msi e poi in An, ora europarlamentare per il Pdl e presidente della commissione Expo del comune di Milano e Sandro Gozi, classe 1968, deputato Pd, già funzionario della commissione europea e prima ancora nel corpo diplomatico, su questo la pensano più o meno allo stesso modo.
«È una cosa che sta incidendo sul tasso di indipendenza e di spirito rivoluzionario della classe dirigente giovane sia a destra che a sinistra», dice Fidanza che ricorda i tempi di An «siamo stati un partito che ha sempre avuto una dialettica interna molto forte. Ma ora, e lo dico senza polemica, la difficoltà ulteriore è l'interlocuzione, difficoltà fisiologica in questa fase, perché siamo nati solo da poco più di un anno».
«Il problema del Pd è proprio quello delle prime file» che per Gozi «sono rimaste le stesse del governo Prodi nel '96». «E non si tratta di una critica giovanilista - precisa - ma sostenuta dalla necessità di una forte riforma culturale di cui abbiamo bisogno. I leader di oggi dovrebbero fare il lavoro di preparazione di un nuovo ciclo politico e quindi anche di costruzione di una nuova classe dirigente». Il pensiero corre in particolare all'Emilia Romagna, la sua regione dove «per essere competitivi rispetto a fenomeni recenti, come la Lega, servono nuove proposte e un ricambio forte della classe dirigente troppo legata al troncone erraniano, bersaniano, post-dalemiano».

Carlo Fidanza, affascinato da Gianfranco Fini, entra giovanissimo nel Msi. Siamo in piena tangentopoli, da poco ci sono state le stragi di mafia, «ho vissuto quella fase con un senso di rivolta sociale», racconta e quei fatti «sono stati una spinta forte per i giovani della mia generazione a impegnarsi. Ho scelto la destra pur non avendo avuto genitori di destra, conquistato dalla spinta all' amor patrio e dal fatto che il Msi non fosse stato complice della stagione di mal governo e di ruberie». Il ruolo di Fini in quella fase «è stato fondamentale per tutti noi, poi ho condiviso percorsi con altri leader in An, nella corrente di Gianni Alemanno e oggi a Milano lavoro con Ignazio La Russa». Poche settimane fa, nei giorni della rottura, poi in parte rientrata, tra il presidente del Consiglio e Fini, Fidanza è uno stato uno dei firmatari del documento degli ex aennini in sostegno a Silvio Berlusconi. «È giusto pretendere che nel partito ci sia dibattito», spiega. «Ma non ho condiviso che sulla base di questo si sia arrivati a una spaccatura così forte e eclatante che ha disorientato una buona parte del nostro elettorato». Serve sì una strategia di contenimento della Lega, dice Fidanza che al presidente della Camera rimprovera però un errore nella risposta. «Dobbiamo essere competitivi sui temi della sicurezza e dell'immigrazione. Se invece diciamo che dobbiamo mandare al voto gli immigrati mentre i leghisti fanno i duri e i puri, gli apriamo un ulteriore spazio politico. E in realtà li favoriamo».

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Il giovane glocal del Pdl che rilegge Manzoni e il tesoriere del gruppo Pd che apre alla Lega

Chi sono le promesse di Pdl e Pd al Nord ? Chi sono i giovani dirigenti politici chiamati a fare

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Il passaggio da An al Pdl? «L'ho vissuto serenamente, come uno sviluppo necessario e un'avventura nuova da cogliere con entusiasmo». Nostalgie? «Un po', An per molti di noi è stato una famiglia, c'era la costante sensazione di sentirsi a casa, anche se a volte era scomoda, disordinata. Questo in parte nel Pdl fino a oggi è mancato ma è un processo in corso, non ancora completato».

Sandro Gozi arriva alla politica con Romano Prodi, come volontario dei comitati per l'UIivo: «Credevo molto nella sua candidatura, mi sono impegnato parecchio. Qualche settimana dopo la vittoria del centrosinistra nel '96 ho cominciato il lavoro come funzionario alla Commissione europea». Ma il ruolo attivo come cosigliere politico parte qualche anno più tardi, con l'arrivo di Romano Prodi a Bruxelles. Nessun passato nella Dc e nemmeno nel Pci-Pds, il primo voto di Gozi è per i repubblicani, poi - da quando nasce - all'Ulivo. I suoi punti di riferimento in Europa? Altiero Spinelli, Alcide De Gasperi, Jacques Delors, ma anche Francois Mitterrand e Helmut Kohl.
Nessuna paura a indicare una via nuova per il futuro, Gozi invita il Pd a un vero e proprio shock culturale: «liberarsi dalle sovrastrutture novecentesche, dagli schemi mentali, dai riflessi politici condizionati», perché «il vero Pd è un partito assolutamente liberal dove la promozione dei diritti civili, la liberalizzazione economica, la lotta contro le oligarchie, contro le corporazioni e i conflitti d'interesse e una vera politica del merito praticata all'interno, nella ricerca, nell'università sono fondamentali».

L'antipolitica? Per l'esponente Pdl «Di Pietro e in parte anche la Lega». Fatta di due facce: «La costante demonizzazione della politica tout court e l'attenzione alla buona politica». Fidanza è convinto che nei confronti di Silvio Berlusconi esista «un pesante accanimento giudiziario, ma sotto di lui, ai livelli più periferici, con la copertura dell'ombrello delle "toghe rosse", il rischio è che si annidino persone che fanno politica per interesse, in maniera non lecita e non trasparente». Per questo «dobbiamo essere più rigidi nella selezione della classe dirigente», soprattutto «al Nord dove c'è una sensibilità maggiore su questi temi». Perché l'elettore «ti giudica e se il partito in casi di corruzione interviene tardivamente rischia di pagare alle urne e di lasciare spazio all'antipolitica. Capita anche a sinistra, loro stanno pagando pegno fortissimo a Di Pietro, nel nostro caso paghiamo un piccolo pegno alla Lega, già adesso».
Per Gozi l'antipolitica è «il risentimento senza alcuna alternativa». Ma cosa servirebbe a ridare fiducia? È necessario «lavorare in maniera visibile, costante, coerente, convincente per il federalismo. E creare laboratori nelle grandi città del Nord. Fare proposte di politica economica e territoriale sapendo che oggi il piccolo imprenditore e l'operaio stanno dalla stessa parte della barricata. Perché dall'altra parte ci sono gli effetti negativi dell'apertura al mondo, della presenza delle multinazionali, la necessità di mantenere un commercio libero».

E la Lega? Nel futuro del Pd saranno possibili alleanza con il partito di Bossi? È un'ipotesi «estremamente difficile», dice Gozi. «Siamo molto lontani. Penso anzitutto alla questione dell'immigrazione, ma anche al rapporto con l'Europa. Sono due punti qualificanti, fondamentali, identitari». Potrebbe essere una soluzione «estremamente pragmatica ma di corto respiro», perché in questa fase abbiamo interesse «a profilarci come nettamente alternativi alle destre e quindi anche al leghismo».
E nel Pdl? Ci sono stati errori nella gestione dei rapporti con la Lega? «Le abbiamo lasciato troppo campo libero su alcuni temi come la sicurezza e l'mmigrazione», dice Fidanza. «Questioni sulle quali il Pdl, anche con il contributo di chi viene da destra, non ha nulla da imparare dalla Lega. Diamo risposte di governo meno urlate, meno di pancia, più pragmatiche, più rivolte al cervello». E poi c'è il problema della presenza territoriale «la necessità di essere più presenti tra la gente. Spesso il fatto di essere al governo ci fa perdere un poco il contatto con il territorio. Mentre la Lega sa recitare bene il ruolo di lotta e di governo». E il futuro? «Dobbiamo tornare a parlare una lingua più vicina al popolo delle partite Iva, alle Pmi, al blocco sociale che è stato importante per l'affermazione e la crescita del centrodestra».

La crisi. Che cosa ha insegnato alla politica? «Quello che è successo ora - sottolinea Sandro Gozi - è, in termini economici-finanziari, l'equivalente di quello che accadde nel 1989, con il crollo di un muro politico, il muro di Berlino. Tra il 2007-2009 è crollato un muro finanziario: quello di Wall Street. Perciò è necessario ripensare la politica da cima a fondo». «Il nostro errore, quello dei progessisti è stato non lottare contro le insostenibili disparità di reddito che sono cresciute in maniera disumana. Ricordo che Henry Ford, dopo la crisi del '29, considerava sostenibile un rapporto di 1 a 10 tra lo stipendio di un operaio e lo stipendio del manager di quell'impresa. Oggi, anche in Italia, ci sono dei casi in cui questa differenza è tra 1 e 400. Qui i progressisti hanno fallito, e da qui dovrebbero ricominciare».
Carlo Fidanza ritrova nei libri di Tremonti «molte delle riflessioni che noi facevamo già dieci anni fa e che ormai sono accreditate sia a destra sia a sinistra, cioè che la mano invisibile del mercato deve essere adeguatamente governata. E questo non vuol dire imbrigliarlo, ma introdurre regole che vengano individuate come sovraordinate e che siano eticamente ispirate, frutto di un'indicazione politica». Perché questa crisi «ci ha insegnato che l'economia di carta da sola non basta, bisogna rimettere al centro l'economia reale e la produzione, le aziende, la gente che lavora».

Propria «La paura e la speranza» di Giulio Tremonti è uno dei libri più importanti per Carlo Fidanza che ammette «dal punto di vista della filosofia politica di sentirsi un po' tremontiano» soprattutto perché nei suoi libri «ho ritrovato molte cose che abbiamo scritto in fiumi di inchiosto nei documenti delle nostre organizzazioni giovanili». Però gli piace anche «un'icona della sinistra» come Gabriel Garcia Marquez, «Cent'anni di solitudine» letto da giovanissimo. Film? Quelli epici «della generazione Braveheart, L'ultimo samurai, nello spirito eroico-patriottico-identitario».
Sandro Gozi, che ha a cuore più di tutte la politica europea, perché «è la fase più importante e centrale delle grandi questioni di politica interna, che si tratti di crisi economica, di ambiente, di qualità dell'aria, di tutela dei consumatori, di credito alle imprese, di immigrazione» è stato ispirato da «La teoria della giustizia» di Jonh Rawls. Ma ama anche Eugene Ionesco, soprattutto Il Rinoceronte. È un maratoneta, sarà per questo che gli piace Forrest Gump: «Continuava a correre e con una grande forza di volontà riusciva comunque a raggiungere risultati assolutamente inediti, con molta modestia e semplicità».

La prima puntata: Il giovane glocal del Pdl che rilegge Manzoni e il tesoriere del gruppo Pd che apre alla Lega

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