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Tassare le banche incentivo all'azzardo

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Questo articolo è stato pubblicato il 01 luglio 2010 alle ore 08:11.
L'ultima modifica è del 01 luglio 2010 alle ore 08:09.

Nel tentativo di arginare la crisi di fiducia che ha colpito le economie del nostro continente, a Toronto i leader del G-20 hanno provato a varare misure di consolidamento dei bilanci pubblici. Sfiorando anche la questione relativa a una tassa sugli utili bancari.
Una misura che potrebbe essere controproducente. Molti osservatori hanno rilevato che gli oneri della tassazione si tradurrebbero in un maggior costo del credito, mettendo in difficoltà imprese e consumatori. Ma vi sono altre ragioni che sconsigliano un'imposta generalizzata sugli utili bancari.

Una delle motivazioni della tassa sarebbe quella di risarcire i contribuenti per le risorse che essi hanno già fornito al sistema finanziario durante la crisi o per le risorse che dovranno fornire nell'eventualità di nuove insolvenze.
Non vi è dubbio che le banche siano all'origine della crisi finanziaria e che esse abbiano beneficiato di iniezioni di capitale pubblico e di liquidità da parte delle banche centrali. Secondo l'Fmi le iniezioni di capitale a carico degli stati europei, nel periodo 2008 e 2009, variano dal 6% del Pil per Irlanda e Austria, al 4% per Germania e Regno Unito allo 0,6% dell'Italia. Tuttavia, i sistemi di prevenzione o assicurazione contro le crisi di insolvenza sono complessi e dovrebbero essere demandati alle autorità di vigilanza. Una banca è, per definizione, un'istituzione illiquida: ha passività a breve termine (i depositi) e attività a lungo termine (i crediti). Per limitare il rischio di corsa agli sportelli esistono garanzie pubbliche sui depositi. Prima della loro istituzione, era frequente che una crisi di liquidità di un singolo istituto di credito si trasformasse in una crisi bancaria di vaste proporzioni. Tuttavia, se la teoria economica e l'esperienza storica hanno dimostrato l'importanza delle garanzie sui depositi per il funzionamento del sistema creditizio, hanno anche insegnato che garanzie implicite più estese generano azzardo morale e una leva finanziaria elevata, con maggiori rischi e minore efficienza del sistema finanziario.


Una tassa sugli utili, se motivata da considerazioni di prevenzione delle crisi o di risarcimento dei contribuenti, può generare incentivi distorti. Se essa implica una garanzia implicita di salvataggio da parte degli stati, le banche saranno indotte a fare scelte più rischiose.

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Tags Correlati: Arvind Krishnamurthy | Bilanci delle imprese | Fmi | Nicola Borri | Prelievi

 

Secondo un recente studio di Arvind Krishnamurthy e altri, del 2010, l'esistenza di possibilità di credito garantito dal governo ha spostato gran parte dei prodotti cartolarizzati dai bilanci di hedge fund e assicurazioni a quello degli istituti di credito. Inoltre, una tassa sugli utili colpisce tutti, indipendentemente dalle caratteristiche dei bilanci, dalla natura del passivo (debito a breve o a lungo termine) e dalla consistenza del capitale proprio.
I leader europei farebbero meglio, allora, a definire misure rigorose della fragilità dei sistemi finanziari. La solidità di un soggetto indebitato dipende dalle prospettive di reddito e dal valore delle garanzie che egli può offrire ai creditori. Per evitare il ripetersi di disastrose crisi finanziarie è necessario migliorare la regolamentazione e imporre maggiore trasparenza nei bilanci. Per questo sarebbe utile che gli stress test per le banche europee venissero somministrati a cadenza regolare, standardizzati ed estesi alle banche di minore dimensione, in modo da rendere facile il confronto tra istituti di credito di paesi diversi. Allo stesso tempo, misure che limitano l'iscrizione al valore corrente di mercato delle attività e passività in bilancio o che impediscono la vendita allo scoperto (anche nuda) dei titoli bancari e di prodotti derivati (come i credit default swap) diminuiscono la trasparenza e la diffusione delle informazioni, rendendo i mercati meno efficienti.

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