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Pd ancora diviso sul socialismo

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Questo articolo è stato pubblicato il 03 luglio 2010 alle ore 08:06.


ROMA.
Pierluigi Bersani l'ha liquidata come una «discussione nominalistica» ma c'è un disagio molto più sostanziale che "nominale" che sta covando nel Pd. E che fa intravvedere a qualcuno l'avvicinarsi di un'ora X per il partito, soprattutto se – come sembra dalle cronache – si avvicina pure per il Pdl. Il casus belli è ancora la questione della socialdemocrazia ma questa volta a farlo scoppiare è Pierluigi Castagnetti che mette il veto all'ingresso del Pd nel Pse, ipotesi che si sta facendo strada nel partito soprattutto dopo l'elezione di Massimo D'Alema alla Feps.
Tutto si è svolto al convegno di ieri del Pd sulla politica estera dove sono intervenuti Piero Fassino, Massimo D'Alema e per le conclusioni Pierluigi Bersani. Ed è lì che Castagnetti ha preso la parola contro la socialdemocrazia. E se prima si era addirittura pensato che proponesse un'uscita dal gruppo europeo costituito dal Pd con i socialisti, poi si è chiarito che per ora non è quello il punto. L'obiettivo su cui ha fatto fuoco Castagnetti è l'idea lanciata dagli europarlamentari Gianni Pittella (molto vicino a D'Alema) e Leonardo Dominici, di entrare gradualmente nel Pse superando l'attuale distinzione creata con il nuovo gruppo a Strasburgo (Alleanza progressista dei socialisti e democratici). Dunque, un passo ulteriore che cancellerebbe la radici culturali e storiche dell'area cattolica e popolare. Anche perché a preoccupare è la continua attenzione di Massimo D'Alema e Pierluigi Bersani, verso i socialisti trattati come interlocutori necessari e naturali per ricostruire la riscossa in Europa.
Un obiettivo al quale Castagnetti non crede. «I socialisti pensano che la loro sia una crisi ciclica invece siamo alla fine della loro gloriosa storia: se Zapatero perderà, il socialismo rischia di rappresentare solo il 4% del Pil», diceva e attaccava il capogruppo al parlamento europeo Martin Schulz che «parla ancora di forze anticapitaliste: il linguaggio non è cambiato così come le categorie di giudizio». Ed ecco allora la logica conseguenza: no a un ingresso nel Pse dove il Pd «rischia di essere risucchiato». Eppure è proprio in quel campo che Bersani vede la rivincita perché – rifiutando la sentenza di morte di Castagnetti – Bersani crede che la storia non si ripeta «ma ami le rime».

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Tags Correlati: Andrea Peruzy | DS | Gianni Pittella | Italianieuropei | Martin Schulz | Massimo D'Alema | Partito Socialista Europeo | Pd | PDL | Pierluigi Bersani | Pierluigi Castagnetti | Piero Fassino | Pil | Strasburgo | Zapatero

 

Quello di ieri non è stato uno sfogo. Castagnetti si è fatto portatore di una riflessione comune a tutta un'area del Pd: quella dei cattolici, degli ex popolari e dei veltroniani che cominciano a sentirsi ospiti. Spiegava l'antefatto Giorgio Tonini, senatore veltroniano: «La discussione sui socialisti è cominciata con Andrea Peruzy, segretario generale di Italianieuropei, che ha accompagnato l'elezione di D'Alema alla Feps con una piattaforma ideologica in cui non si parlava di Pd ma solo di sinistra italiana e sinistra europea. Mi pare scontato prenderne le distanze».
Il fatto più serio è l'interpretazione che Tonini dà della reazione di Bersani. «Il fare spallucce e lasciar correre, come ormai sempre più spesso accade, mi pare risponda a una strategia: spingere fuori tutti gli altri non ex Ds. Il piano è scivoloso anche perchè i popolari non possono continuare a prendere calci in faccia». Insomma, la responsabilità che la minoranza affida a Bersani è il voler far fallire il progetto della fusione di due culture.
E infatti ieri Castagnetti, davanti a una platea tutta dalemian-bersainiana, rivendicava: «Il Pd è un'anticipazione e non un'anomalia che si finge di assecondare». La risposta del segretario ha spostato completamente le coordinate, non solo liquidando la discussione come «nominalistica» ma disegnando per il Pd un percorso con le forze progressiste europee, a partire dai socialisti, per una «risposta europea alla crisi e alla globalizzazione». E parlando di storia che ritorna, Bersani si avventura nel periodo pre-bellico quando «le forze riformiste si legarono a un patriottismo non nazionalista, a un patriottismo dolce ma non tale da non prendere poi i fucili in mano».
La maretta è arrivata fino a Strasburgo. Perché ieri sera, quando ormai il convegno era finito, il vicepresidente del gruppo europeo, Gianluca Susta, appoggiava in pieno Castagnetti e polemizzava sul suo mancato invito: «Dobbiamo lavorare per sciogliere e rifondare le famiglie politiche: una riforma dall'interno del socialismo non basta».
Lontano dalle polemiche, Massimo D'Alema aveva fatto il suo intervento riflettendo su una riforma del G8, su un «salto di qualità» necessario per l'Ue e puntando l'indice contro la diplomazia «degli affari» italiana facendo anche notare che «dovremmo conquistarci un posto in Europa anche con investimenti. La spesa militare invece è tra le più basse».
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