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La guerra del rum al Congresso Usa

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Questo articolo è stato pubblicato il 04 luglio 2010 alle ore 08:03.

NEW YORK - Il mare dei Caraibi, il pirata e il rum. Una miscela tradizionalmente esplosiva. Logico che prima o poi segua un saccheggio. Ma ora siamo alla vera e propria guerra.
Iniziato nelle acque calde del mare solcato dai velieri del bucaniere Henry Morgan, il conflitto ha raggiunto le aule del Congresso a Washington. Qui, una volta tanto, gli schieramenti non dipendono dal partito politico. Ma forse è peggio. Perché si sono ormai cristallizzati due fronti opposti lungo linee razziali. A schierarsi con il Porto Rico c'è la lobby "ispanica".

Con le Isole Vergini, un arcipelago popolato da discendenti di schiavi, c'è quella afroamericana.
La posta in gioco è alta: miliardi di dollari di imposte sui superalcolici che i due territori insulari appartenenti agli Usa ma non riconosciuti come stati dell'Unione si contendono attraverso i loro sostenitori politici e le loro lobby. Con il supporto di due grandi sponsor internazionali. Bacardi, azienda produttrice di rum con sede alle Bermuda, sta con il Porto Rico, dove opera una grande distilleria. La rivale Diageo, colosso degli alcolici con sede a Londra e proprietario di Johnny Walker, Guiness, Smirnoff, Dom Perignon e Captain Morgan, con le Isole Vergini.
In base a un accordo ai più ignoto, il governo americano impone una tassa di 13,50 dollari per ogni gallone (pari a circa quattro litri) di alcol venduto. Lo stato trattiene 25 centesimi e il resto lo gira ai territori in cui è prodotto il rum. E cioè Porto Rico e Isole Vergini. Fino a oggi il primo ha fatto la parte del leone perché è lì che Bacardi e Diageo producono il grosso del loro rum. Ma il governo delle più povere Isole Vergini ha fatto a Diageo un'offerta difficile da rifiutare: si è dichiarato pronto a firmare un accordo trentennale con cui si impegna a girare al produttore fino al 50% delle imposte ricevute sul rum venduto purché Diageo apra una distilleria nell'isola di St Crox, la maggiore dell'arcipelago. La tempistica dell'offerta non è casuale: nel 2011 scadrà l'accordo che Diageo ha con il governo portoricano per la distilleria che produce il Captain Morgan in quel paese. E in base al quale riceve sovvenzioni pari al 10% delle imposte sul rum.

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Tags Correlati: Congressional Black Caucus | Diageo | Dom Perignon | Guy Smith | Henry Morgan | Horeca | Isole Vergini Americane | Miguel Lausell | Patricia Neal | Rico Porto | Stati Uniti d'America

 


Con la distilleria il governo delle Isole Vergini creerebbe centinaia di nuovi posti di lavoro e aumenterebbe di 150 milioni all'anno le imposte sul rum. Per la Diageo si parlerebbe di una pari cifra di incentivi all'anno. Che sui trent'anni dell'accordo pomperebbe nelle sue casse 2,7 miliardi di dollari.
A rimetterci sarebbe Porto Rico. «È una nuova forma di pirateria. Captain Morgan e i suoi padroni inglesi stanno cercando di perpetrare il più grande saccheggio di denaro pubblico dai giorni dei corsari di una volta», ha denunciato Miguel Lausell, presidente della Coalizione Nazionale Portoricana. Il governatore portoricano Luis Fortuna ha invitato il Congresso a intervenire per fermare «lo sperpero».
Era un chiaro appello alla lobby ispano-americana. E il 15 aprile il senatore democratico di origine cubana, Robert Menendez, ha risposto alla chiamata presentando un disegno di legge che impone un tetto massimo agli incentivi per i produttori di rum pari al 10% delle imposte. La proposta ha il chiaro intento di far saltare l'accordo tra Isole Vergini e Diageo. Menendez ha però spiegato che il suo obiettivo è di «fare in modo che i soldi dei contribuenti siano investiti in progetti pubblici che diano benefici alla popolazione locale e non a una multinazionale straniera».


La risposta è arrivata pochi giorni fa da 18 membri del Congressional Black Caucus, l'associazione parlamentare degli afroamericani, che hanno firmato una lettera in cui chiedono a Menendez di ritirare la proposta. Subito è arrivato il plauso di Donna Christensen, rappresentante delle Isole Vergini al Congresso. «Questo non è uno scontro tra neri e ispanici, anche se qualcuno potrebbe vederla così. È piuttosto tra Davide e Golia», ha dichiarato Christensen, facendo notare che il suo arcipelago ha poco più di 100mila abitanti mentre Porto Rico ne ha 4 milioni. E quasi altrettanti emigrati che votano negli Stati Uniti.
Contemporaneamente si sono fatti sentire gli "sponsor" commerciali delle due parti. Patricia Neal, portavoce di Bacardi, ha invitato il Congresso a «chiedere spiegazioni a Diageo» e a interrogarsi sul «corretto utilizzo di incentivi pubblici». Guy Smith, vicepresidente di Diageo, ha risposto accusando Bacardi di «lavorare dietro le quinte» per far fallire l'accordo.
Resta il fatto che entrambe le società sono ricorse a lobbisti professionisti. Bacardi ha scelto Burson-Marstellar, e risulta che abbia speso finora circa un milione di dollari. Diageo ha optato per Edelman, e di milioni ne ha spesi più di tre.
Nel mezzo di questa guerra tutti sembrano aver dimenticato i motivi principali dell'imposta sul rum, e cioè disincentivarne il consumo e rifarsi dei costi sociali dei suoi eccessi. Questa logica è chiaramente stravolta nel momento in cui i soldi delle tasse sul rum finiscono nelle tasche dei suoi stessi produttori. Che siano in Porto Rico o nelle Isole Vergini.

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