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Berlusconi-Fini, resta il muro

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Questo articolo è stato pubblicato il 06 luglio 2010 alle ore 08:09.

ROMA - Per ora, sulla sua agenda, Silvio Berlusconi ha annotato un solo appuntamento politico per domani: un vertice con lo stato maggiore del Pdl, cui prenderanno parte anche il fido Gianni Letta e l'avvocato del premier, Niccolò Ghedini. Nessuna traccia invece dell'ufficio di presidenza che, a detta di molti, avrebbe già potuto sancire il divorzio tra il Cavaliere e Gianfranco Fini.
Non che l'atmosfera tra palazzo Chigi e Montecitorio sia cambiata. Anzi, secondo la lucida analisi di un finiano, «il vero problema è che c'è una certa antipatia tra i due, ma è evidente che la soluzione passa attraverso un chiarimento diretto tra Fini e Berlusconi, la partita vera se la giocheranno loro».

Il come, però, è ancora da decidere. Per ora non risultano contatti tra i due.
Vero è poi che, con i suoi, Berlusconi si mostra ancora parecchio adirato con Fini tanto da continuare a brandire l'arma di un possibile rimpasto di governo, per mettere alla porta i fedelissimi del presidente della Camera, o quelle, ancor più drastiche, di elezioni anticipate o di crisi. Ma, ammettono i berlusconiani, sono tutte carte che rappresentano l'extrema ratio. «La situazione adesso è invece molto fluida – confessa un esponente di spicco del Pdl – ed è difficile prevedere cosa farà davvero il presidente. Siamo davanti a continui "stop and go" e il redde rationem non sembra più così vicino come qualche giorno fa, ma non si può escludere nulla». Nemmeno che il Cavaliere decida di sparigliare le carte lanciando una nuova formazione per superare l'attuale sfilacciamento del partito.

Sull'altra sponda comunque tutto tace. Chi ha visto l'ex leader di An nelle ultime ore lo descrive «sereno» e per nulla preoccupato di una eventuale conta parlamentare se anche Berlusconi imboccasse questa via. «Fini non vuole lasciare il Pdl, lo considera come casa sua - è il ragionamento fatto filtrare dal suo entourage - e non ha preso in considerazione alcun progetto di federazione o terzo polo. Aspetta di vedere cosa farà Berlusconi e comunque la richiesta è sempre la stessa: risolvere i problemi da lui posti e che adesso sono venuti al pettine.

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Tags Correlati: Alessandro Campi | AN | Camera dei deputati | Farefuturo | Generazione Italia | Gianfranco Fini | Gianni Letta | Governo | Italo Bocchino | Montecitorio | Niccolò Ghedini | PDL | Silvio Berlusconi | Vittorio Feltri

 

Insomma, il presidente della Camera si mostra prudente e non si sbilancia per ora su strade alternative. Che però non sembrano dispiacere ai suoi fedelissimi. «Il Pdl è la casa che abbiamo costruito e rimarrà la nostra casa - spiega Italo Bocchino sul sito di Generazione Italia –. Se qualcuno vuole trasformare il Pdl da partito unitario in federazione se ne può discutere. Se qualcuno pensa che può cacciarci facendoci commettere qualche errore sappia che questo non accadrà così come va chiarito che noi, mai e poi mai, lasceremo il Pdl».
La linea è chiara: nessun boicottaggio e, prosegue Bocchino, «se Berlusconi verrà in Parlamento a chiedere la nostra fiducia la otterrà senza se e senza ma». A cominciare dalla manovra dove, osserva un altro parlamentare di stretta osservanza finiana, «voteremo la fiducia».

Sminato il caso Brancher (secondo Bocchino «un autogol del Pdl»), con un passo distensivo del premier rivolto al Colle e non certo a Fini stesso, restano poi in piedi altri due tasselli, oltre alla manovra: intercettazioni e vita interna del partito. Sui, quali, osserva sempre il finiano, «si è assunto una responsabilità diretta Berlusconi con il suo "ghe pensi mi"». Sulla legge sugli ascolti, poi, l'indicazione dei fedelissimi di Fini è netta: «È opportuno un rinvio a settembre delle votazioni alla Camera».

Il clima è comunque incandescente. Ieri a dare il "la" alle polemiche ci ha pensato Vittorio Feltri definendo Fini, con un'editoriale sulla prima pagina del Giornale, «il leader della congiura che vuole far fuori il premier e distruggere la maggioranza. Se Berlusconi darà retta ancora alle colombe, comincerà presto il tiro al piccione». A stretto giro rispondono in due. Prima Alessandro Campi, direttore scientifico della fondazione Farefuturo, che ribalta la riflessione di Feltri. «Se Berlusconi continuerà a dare retta ai suoi falchi, allora sì che finisce davvero impallinato». Poi è la volta della bacchettata di Bocchino. «Feltri sappia che il ribaltone non fa parte del nostro costume politico». E, di lì a poco, arriva anche la presa di posizione della fondazione finiana che torna sulle parole pronunciate domenica dal Cavaliere. «Fini farà la fine di Rutelli? Non sarebbe un insulto. Se però non cambia marcia, il premier rischia di fare la fine di Bersani, capo di un partito che ha più dirigenti che idee».
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