Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 06 luglio 2010 alle ore 08:08.
MILANO.
Si alza dal banco degli imputati e tutto finisce laddove le polemiche erano iniziate. In pochi minuti, annuncia le dimissioni, conferma la rinuncia al legittimo impedimento e passa al rito abbreviato incondizionato. Così, dopo un ministero lampo, Aldo Brancher si avvia verso un processo altrettanto fulmineo. Se 17 giorni è rimasto in vita il suo dicastero, un mese e 48 ore potrebbe pendere il processo, in questo stralcio della vicenda sulla scalata Bpi-AntonVeneta. Già il 28 luglio, il giudice Anna Maria Gatto potrebbe emettere la sentenza, dal momento che con questo rito, che prevede la riduzione di un terzo della pena, viene esclusa l'ammissione di teste. Teste, come Gianpiero Fiorani, l'ex amministratore delegato della Popolare di Lodi, già in tribunale ieri per deporre, come Donato Patrini, manager della banca, l'«uomo delle operazioni riservate» come dei «finanziamenti ai politici», per sua stessa ammissione. A fine mese, il destino giudiziario dell'ex ministro si separerà inoltre da quello della compagna, Luana Maniezzo, che sarà giudicata invece con rito ordinario da un'altra corte.
Le grane giudiziarie per l'uomo che è stato a lungo un anello di congiunzione tra Lega e Forza Italia hanno una cifra ben precisa: 827.596 euro. Questa in totale la somma, tra appropriazione indebita e ricettazione, contestata dalla Procura di Milano all'ex titolare al Decentramento, per sei episodi, elencati nell'avviso di conclusione delle indagini. Soldi arrivati sul conto di Brancher, uno dei cosiddetti correntisti privilegiati dell'istituto, per operazioni su azioni Tim e Autostrade nel 2003; oppure soldi ricevuti in contanti – ricostruisce il pm Eugenio Fusco – una volta nell'ufficio di Fiorani, un'altra (sempre 100mila euro) «nella segreteria al ministero del Welfare», un'altra ancora all'autogrill di San Donato nel 2001, dalle mani di Patrini. O ancora negli uffici dell'ex ad della banca. «Brancher era un amico intimo di Fiorani e mi era stato presentato nel '95-'96», racconta il manager, "ufficiale di collegamento tra Roma e Lodi", in più interrogatori tra l'autunno 2005 e inizio 2006. «Nel 2000, Fiorani mi chiese di aprire una linea di credito di circa 300 milioni di lire, in quanto erano alle porte le elezioni del sindaco di Lodi. Il motivo del finanziamento era impedire che la Cdl candidasse Sfrondini, nemico di Fiorani». Un ribaltone riuscito, in cui l'ex numero uno della banca coinvolge Brancher. Fiorani parla a lungo dell'ex ministro: «Mi aveva detto che lui e Calderoli avevano bisogno di 200mila euro per le spese della campagna elettorale», denuncia ai pm di Lodi. In uno dei due episodi, i soldi, secondo l'accusa, sarebbero stati consegnati da Patrini, «in busta chiusa a Brancher, che lo attendeva all'autogrill di San Donato Milanese. Poi raggiungeva Calderoli – scrive il pm – e divideva la somma in parti uguali». E Patrini conferma la "busta", consegnatagli da Silvano Spinelli, funzionario «che fungeva da cassiere», ma non si sbilancia sul contenuto, «perché molte volte ho recapitato a Brancher – dice – documenti in busta chiusa». Conta una quindicina di incontri, anche nella sede della Lega, dedicati «alle questioni finanziarie relative alla sua società in difficoltà. Era stato Fiorani a chiedermi di coltivare questo rapporto», aggiunge, precisando che «gli affidamenti per Brancher erano stati aumentati. In totale, due milioni e mezzo». «Brancher non mi ha mai dato denaro, né per fini elettorali, né personali», smentisce Roberto Calderoli, anche lui indagato, ma poi archiviato. Interrogato il 15 maggio 2009, il ministro leghista conferma come proprio Brancher gli avesse presentato Fiorani, per le amministrative di Lodi. Il giorno della presentazione nella banca del candidato leghista, «io ero davanti. Quello che è accaduto alle mie spalle – chiosa il ministro per la Semplificazione – non ho potuto vederlo».