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Berlusconi: batterò le correnti

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Questo articolo è stato pubblicato il 07 luglio 2010 alle ore 08:36.


ROMA
Niente più correnti o minoranze. Guardando innanzitutto dentro casa sua, dove ormai perfino lui non riesce più a tenere il conto di tutte quelle sigle nate per promuovere la qualunque. Il richiamo non è nuovo, in verità, ma questa volta Silvio Berlusconi è deciso a far sentire la sua voce, vuole serrare i ranghi per preparare al meglio la resa dei conti con Gianfranco Fini. «Non si può più andare avanti così - è il ragionamento consegnato ai suoi - dobbiamo dare un segnale noi azzerando tutto, correnti e correntine, se vogliamo metterli con le spalle al muro».
Il nuovo tassello della strategia del Cavaliere arriva così durante un incontro convocato ieri a sorpresa di ritorno da Pavia. Dove Berlusconi era stato visitato per una tendinite alla mano sinistra. Poi si concede un tour defatigante all'Ikea della periferia di Roma, con tanto di foto tra i dipendenti e complimenti per «l'ottima organizzazione». La stessa che il premier avrebbe forse voluto per la sua creatura.
Così, poche ore dopo una riunione a ranghi ristretti tra Fini e suoi, Berlusconi chiama nella sua residenza romana solo gli ex forzisti: Bondi e Verdini tra i coordinatori, Cicchitto e Quagliariello, il guardasigilli Angelino Alfano e l'avvocato Ghedini. Fuori, invece, gli ex colonnelli La Russa e Gasparri, che si affrettano a giustificare la loro assenza: il primo trattenuto «da un impegno televisivo non rinviabile», l'altro occupato sulla manovra al Senato.
I rumors raccontano però un'altra storia: e cioè che a decidere l'esclusione sia stato proprio Berlusconi. Sul perché, però, l'aneddotica di palazzo offre più spunti. «Il fatto è che non sono stati invitati, il premier non si fida più di loro», racconta un berlusconiano molto vicino al Cavaliere. Per altri l'assenza avrebbe però anche un altro significato più sottile: una bacchettata del premier alla corrente firmata dai due. Come a dire: pure da voi mi aspetto un dietrofront. A ogni modo La Russa, che alcuni descrivono molto adirato per l'esclusione, fa di tutto per fugare i sospetti. «Sapevo ma ho preferito non esserci, Gasparri avrei dovuto avvertirlo io ma mi sono scordato».

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Sia come sia alla fine del vertice il Berlusconi-pensiero viene riassunto in un comunicato. «Il Pdl è nato come movimento popolare, espressione diretta degli elettori, per amalgamare tutte le tradizioni politiche del centro-destra e per sconfiggere così la vecchia partitocrazia e la vecchia logica delle correnti, da qualunque provengano». La decodifica è semplice: stop innanzitutto ai movimenti degli ex forzisti, a partire, riferiscono i ben informati, dalla fondazione "Liberamente" dei ministri Frattini e Gelmini.
Ma è chiaro che il premier invia così anche un messaggio molto esplicito al co-fondatore del Pdl e alla galassia nata attorno a lui, da Generazione Italia a Farefuturo. D'altro canto che Berlusconi ce l'abbia ancora con Fini è chiaro a tutti. A cominciare proprio dai partecipanti cui il Cavaliere si mostra fuori dalla grazia di Dio. «Ora basta - si sfoga con i fedelissimi - o Gianfranco si riallinea oppure le nostre strade si separano». La rabbia resta, dunque. Per il momento, però, Berlusconi non vuole stressare la partita, gli preme condurre in porto la manovra. Poi arriverà la resa dei conti, ma ora meglio ricompattare le truppe, anche sul fronte delle intercettazioni dove il Pdl è disposto a trattare e oggi il Cavaliere salirà al Colle prima di un nuovo confronto con i suoi.
Tanto più che dall'altra parte Fini ostenta tranquillità anche dopo la lettura delle agenzie sulle decisioni del vertice forzista. Ribadendo la sua linea. «Noi non ce ne andremo dal Pdl, ma aspettiamo di vedere cosa Berlusconi è davvero intenzionato a fare». Nessun passo affrettato, dunque, ma, per dirla con le parole di un finiano, «un gioco di rimessa anche perché Fini sa che sta giocando una partita di livello e finora i risultati gli hanno dato ragione».
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