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Questo articolo è stato pubblicato il 08 luglio 2010 alle ore 08:47.
Si riaccende lo scontro tra laici e filoislamici sulle sponde del Bosforo. Ieri sera a mercati chiusi la Corte costituzionale, bastione della Turchia secolare legata alla tradizione di Kemal Ataturk, ha deliberato sulle sorti del pacchetto di riforma costituzionale voluta dal premier Recep Tayyip Erdogan e approvata a maggio dal Parlamento.
L'alta corte, che rispondeva alla richiesta della forza di opposizione di sinistra, il Chp, che chiedeva di bocciare la riforma, ha rimandato a un referendum popolare, che forse si terrà il 12 settembre, solo una parte degli articoli controversi, fra cui quelli sui diritti fondamentali delle persone e la possibilità di giudicare i militari in corti civili bocciando invece quelli sulla questione della laicità del paese e dell'indipendenza della magistratura dal potere politico.
I giudici hanno fatto le barricate proprio sulla riforma della magistratura e tolto di mezzo la parte più rilevante del progetto voluto dall'Akp, il partito di maggioranza. La Corte suprema ha bocciato il "cuore" della riforma della giustizia, alla quale il premier islamico moderato Erdogan teneva in modo particolare e che prevedeva la riforma della Corte costituzionale e del Consiglio supremo dei giudici e dei procuratori (Hsyk, l'equivalente del Consiglio superiore della magistratura italiana), soprattutto le regole di elezione e la durata del mandato dei giudici. Il progetto del governo prevedeva la nomina presidenziale e parlamentare dei membri delle due istituzioni, con cui il Partito per la giustizia e lo sviluppo (Akp), che detiene la maggioranza, ha avuto un continuo scontro a partire dal momento in cui venne eletto tra mille ricorsi e battaglie giudiziarie Abdullah Gul, primo filoislamico a diventare presidente della repubblica turca.
Gli articoli non annullati dovrebbero comunque essere sottoposti a un referendum popolare già fissato per il prossimo 12 settembre, ma che potrebbe a sua volta essere cancellato. La vicenda è intricata e si è trasformata in una guerra di trincea che da un decennio vede contrapporsi il premier filoislamico moderato Erdogan e il business anatolico con l'establishment laico e cosmopolita di Istanbul.