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Questo articolo è stato pubblicato il 10 luglio 2010 alle ore 08:05.
È salito al Quirinale di buon mattino, pronto a spendere tutto il suo fair play per convincere il presidente della Repubblica della buona volontà del governo sul ddl intercettazioni e con la segreta speranza di strappargli una parola, un gesto, magari un impercettibile movimento della bocca o degli occhi, qualcosa di assimilabile, insomma, a un cenno di assenso.
Ma a riceverlo, il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha trovato il segretario generale della Presidenza della Repubblica, Donato Marra, non Giorgio Napolitano, fermo nella decisione di non farsi coinvolgere in nulla che possa anche solo apparire una trattativa sulle modifiche al testo all'esame della Camera, convinto com'è che sia solo e soltanto il Parlamento la sede naturale per discuterle e trovare un accordo.
Perciò il Capo dello Stato ha preferito lasciare nelle sapienti mani di Marra l'appuntamento chiesto dal guardasigilli nell'ambito della strategia del governo di ricucitura con i finiani. Strategia che – dopo l'ultimo vertice a Palazzo Grazioli con Silvio Berlusconi – dovrebbe portare a un compromesso sul ddl. Mentre Alfano saliva al Colle, infatti, altri canali diplomatici si aprivano in direzione della finiana Giulia Bongiorno, presidente della commissione Giustizia nonché relatrice del provvedimento, per rassicurarla sulla volontà di modificare il testo, mettendole a disposizione le modifiche entro lunedì (il termine per la presentazione degli emendamenti scade martedì alle 15).
«Il clima politico sta cambiando», ammettono alcuni finiani, pur evitando pronostici troppo spesso, in passato, smentiti dai fatti. Ricordano, ad esempio, il precedente del Senato, quando Alfano trasmise a Fini e alla Bongiorno gli emendamenti solo 48 ore prima dell'ufficio di presidenza del Pdl che avrebbe dovuto votarli. Anche stavolta c'è il rischio che le «carte» siano scoperte all'ultimo momento, a poche ore dal termine per la presentazione delle modifiche in commissione Giustizia. E questo non sarebbe un buon segnale, non foss'altro perché la «problematicità» (come l'ha definita Napolitano nei giorni scorsi) dei «punti critici» è tale da richiedere soluzioni tecniche ponderate e non, semplicemente, «due-tre ritocchetti». Peraltro, è ormai chiaro che la partita «è più politica che tecnica» per cui, alla fine, soluzioni tecnicamente insufficienti potrebbero essere considerate politicamente accettabili, e viceversa.