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Questo articolo è stato pubblicato il 10 luglio 2010 alle ore 08:04.

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Storico scambio di spie Usa-Russia (Ap)Storico scambio di spie Usa-Russia (Ap)

NEW YORK - MOSCA - La tv russa ripropone una scena di Mërtvyj Seson, Stagione morta, classico sovietico del 1968 con rituale scambio di agenti sul ponte delle spie, il Glienicker Brücke tra Berlino e Potsdam. Cielo basso di pioggia in bianco e nero; un lungo, intenso sguardo tra il nostro eroe, Ladejnikov, e il colonnello consegnato al suo posto, trascinato via dagli uomini che lo attendono.

Niente di così intrigante è avvenuto ieri, a Vienna, tornata per un attimo il crocevia tra Est e Ovest, il terreno neutro ideale per lo scambio tra i dieci "illegali" che solo la sera prima a Manhattan, pronunciando per la prima volta i loro nomi russi, si erano riconosciuti colpevoli di aver operato negli Stati Uniti «come agenti di un governo straniero non registrati», e quattro detenuti russi accusati da Mosca di aver passato informazioni classificate all'Occidente. Nello stesso momento in cui dieci persone venivano espulse dagli Usa, quattro spie venivano graziate dal presidente Dmitrij Medvedev. Due aerei sono arrivati a Vienna quasi in contemporanea, ala contro ala hanno atteso lo scambio dei passeggeri. Poi il jet americano è ripartito per l'Inghilterra, lo Yak russo per Mosca. Nessuno ha visto le spie, nessuno si è emozionato. Come aspettarsi diversamente, in questa vicenda in cui le notizie più riservate venivano strombettate via Twitter?

Apparentemente, il fantasma della Guerra fredda non ha disturbato il reset, disgelo tra Russia e Stati Uniti, e la partita delle spie è finita 10 a 4, dieci ai russi e quattro agli americani. Ma è stata un'amichevole.

«Lo scambio si è concluso con successo», si è affrettato ad annunciare il dipartimento di Stato americano mentre una fonte del Cremlino avvertiva che «nessuno potrà scuotere la fiducia e l'intesa reciproca» tra il presidente americano e quello russo. L'intera vicenda, fin dai primi arresti delle presunte spie russe in America il 27 giugno, è stata segnata dall'evidente desiderio di Mosca e Washington di risolverla insieme, rapidamente, senza scandali. I quattro uomini consegnati agli americani, tutti cittadini russi, sono esperti militari (Igor Sutjagin) ed ex agenti dei servizi segreti (Serghej Skripal, Aleksandr Zaporozhskij e Gennadij Vasilenko) accusati di aver lavorato per la Cia e l'MI6 britannico. Tutti condannati a 13-18 anni.

Mosca avrebbe rinunciato a loro per riavere persone che tecnicamente non sono spie, espulse dagli Stati Uniti - dove non potranno tornare mai più - anche perché in fondo, in anni di vita "sotto copertura" tra Virginia, New Jersey e Boston non hanno passato ai russi alcuna informazione pericolosa per la sicurezza nazionale. «Per gli Stati Uniti e la Gran Bretagna - dice al Sole-24 Ore un ex capogruppo della Cia in Europa che ha gestito varie spie sovietiche - lo scambio è stato un buon affare. Si è rispedita in Russia una banda del buco e si sono liberate almeno tre vere spie. Mi riferisco a Skripal, Zaporozhskij e Vasilenko. Perché di Sutjagin si dice che sia stato incastrato. In più, la Cia ha potuto dimostrare al mondo intero che non si dimentica di chi l'aiuta. O chi aiuta i suoi partner europei».

Punto di vista condiviso anche da un funzionario dell'Fbi, che come il collega chiede l'anonimato: «Per anni il Bureau ha tenuto sotto controllo queste persone, monitorato le loro comunicazioni, appurato come e con chi mantenevano i contatti. Insomma il grosso di quello che era importante capire e sapere era già stato abbondantemente capito e saputo. I dieci per noi avevano ormai ben poco valore».

Sul fronte opposto, sembrano d'accordo. «Questo è il colpo più grave degli ultimi 50 anni all'immagine dei servizi russi - dice da Mosca Ghennadij Gudkov, colonnello dell'Fsb (ex Kgb) in riserva e vicepresidente della commissione Sicurezza alla Duma - è la dimostrazione che la qualità del lavoro si è abbassata: della gente è stata mandata a mettere in piedi una qualche incomprensibile rete all'estero, con non poco dispendio di mezzi». Ma forse tutto questo ha davvero poco a che fare con Medvedev e con il reset: «L'operazione - spiega un altro ex capocentro della Cia - sembra essere nata negli anni di Eltsin, un periodo di grande confusione politica e ideologica per la Russia. Poi a mio parere è stata fatta andare avanti quasi più per inerzia burocratica che per scelta strategica».

A Mosca, la madre di Anna Chapman allontana i giornalisti: «Non dico nulla!». La figlia vorrebbe tornare in Inghilterra, Londra pensa di revocarle la cittadinanza: il caso è chiuso, ma restano non pochi misteri da chiarire, tra questi la sorte degli agenti e delle loro famiglie.

FINALE DI PARTITA
Gli espulsi dagli Usa
Richard Murphy e Cynthia Murphy hanno ammesso di essere Vladimir e Lydia Gurjev
Donald Howard Heathfield e Tracey Lee Ann Foley sono in realtà Andrej Bezrukov ed Elena Vavilova
Michael Zottoli e Patricia Mills hanno confessato di essere Mikhail Kutsik e Natalia Pereverzeva
Il vero nome di Juan Lazaro è Mikhail Vasenkov, sposato a Vicky Pelaez, giornalista nata in Perù
Anja Kushchenko, ventottenne figlia di un diplomatico russo, usa il nome da sposata, Anna Chapman

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