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Alt leghista all'Udc: piuttosto si vota

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Questo articolo è stato pubblicato il 11 luglio 2010 alle ore 14:46.

La cena di giovedì sera a casa Vespa che ha riavvicinato Pierferdinando Casini e Silvio Berlusconi rischia di mandare in frantumi la maggioranza. Ieri il leader centrista ha smentito di avere ricevuto «offerte» dal premier in cambio di un ingresso nell'Esecutivo, ma la Lega ha subito alzato gli scudi: «O noi o l'Udc, se il governo entra in crisi si va al voto».

Le «offerte» a Casini
Sono le ricostruzioni della cena a casa di Vespa ad accendere la miccia. «È stata una serata piacevole – puntualizza subito il leader centrista – ma un'ipotesi rimpasto di Governo non mi riguarda e comunque non era quella la sede per discuterne». Ma l'Ansa torna alla carica: nonostante le smentite del diretto interessato trovano conferme le indiscrezioni secondo le quali al leader dell'Udc sarebbe stata offerta una vicepremiership, la Farnesina e la possibilità di concorrere alla scelta del nuovo ministro dello Sviluppo. Proposte che Casini avrebbe comunque declinato. Ma tanto basta per far esplodere la rabbia leghista.

Maroni: è politica romana
«Sono manovre di stampo romanesco che mi ricordano l'epoca del '92 e del '93, quando tutto si decideva in qualche salotto romano» è il commento a caldo del ministro dell'Interno. Poi le stringate parole di Umberto Bossi: «O noi o l'Udc, siamo alternativi». Ed è ancora Maroni a etichettare come «fantapolitica» qualsiasi governo istituzionale: «Se cade Berlusconi, si va al voto» è l'avvertimento ai finiani.

Le aperture all'Udc
Ma nella maggioranza non tutti la pensano come la Lega. È uno dei coordinatori Pdl, Ignazio La Russa, a venire allo scoperto: «Al Carroccio dico "mai dire mai" e ricordo che una collaborazione al governo tra Lega e Udc c'è già stata. Dunque il problema non è tanto lo stare insieme ma il come ci sia arriva». Infine, «l'importante è che si tratti di un governo autosufficiente» è la teoria dell'ex colonnello di An. D'altra parte la sponda centrista di Casini non dispiace anche all'area finiana del Pdl. «Il coinvolgimento dell'Udc può essere utile all'azione riformatrice del governo» argomenta Adolfo Urso, fedelissimo di Fini, che pone a Silvio Berlusconi un interrogativo: «Chi sceglie sull'ingresso di Casini, il premier o la Lega?». Anche ieri i finiani non sono stati teneri con il capo del governo: «Siamo determinanti per tenere in piedi il governo» ha detto Italo Bocchino a Cnrmedia. Parole poi in parte smentite e comunque accompagnate da un più morbido «voteremo con la maggioranza fino all'ultimo giorno della legislatura». In serata poi la richiesta di una «verifica interna da parte di Berlusconi». E a proposito della cena a casa Vespa, alcune voci davano il presidente della Camera tra gli invitati che avevano pero dato forfait. Ma è stato lo stesso Vespa a smentire: «Fini non era stato invitato all'incontro di giovedì sera ma a una cena nei prossimi giorni, invito che ha però declinato».

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Tags Correlati: Adolfo Urso | Alfano | ANSA | Comitato Esecutivo | Farnesina | Ignazio La Russa | Italo Bocchino | Liberamente | Maria Stella Gelmini | Partiti politici | PDL | Pierferdinando Casini | Schifani | Silvio Berlusconi | Udc | Umberto Bossi

 

Miccichè all'attacco
Pdl in difficoltà anche al livello locale. Al convegno sul federalismo organizzato dalla fondazione «Liberamente» che fa capo ai ministri Gelmini e Frattini, il sottosegretario che è a capo dell'ala autonomista siciliana del Pdl sferra un forte attacco ai "lealisti" che fanno capo ad Alfano e Schifani: «Due giorni fa mi ha chiamato Maria Stella Gelmini - ha rivelato - raccomandandomi di essere prudente. Magari temeva che parlassi del ministro della Giustizia. Ma noi oggi parliamo di Sud, e che c'entra Alfano con il Sud?». Poi l'affondo contro l'ala del centro-nord del partito: «Se poniamo un problema di classe dirigente del Pdl - ha detto - quelli che li hanno in questi giorni si chiamano Brancher, Verdini e Cosentino: uno è del sud ma gli altri due sono del nord. Un tempo eravamo noi i farabutti, oggi da queste parti non ce ne sono più».

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