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Questo articolo è stato pubblicato il 11 luglio 2010 alle ore 14:42.
MOSCA - La scena finale è quella in cui tre minibus con i vetri oscurati lasciano l'aeroporto moscovita di Domodedovo, seguiti da auto di scorta. Ore 17.45 di venerdì 9 luglio: da quel momento, i dieci agenti russi espulsi dagli Stati Uniti dopo aver riempito per due settimane i giornali di tutto il mondo sono svaniti nel nulla. Ovvero in qualche sede dell'intelligence estera russa, Svr, che naturalmente taglia corto: «Non commentiamo questi avvenimenti», dicono i portavoce. Uniche parole, quelle di Anna Chapman/Anja Kuschenko che in una telefonata alla sorella dall'aeroporto si è limitata a dire: «Siamo atterrati, tutto a posto». Ma secondo quanto riferisce un'amica di famiglia, per dire «tutto ok» Anna ha scelto la parola «normal'no»: in Russia la usano per dire che proprio tanto bene non va.
«L'avvocato - si indigna la madre Irina, sfogandosi con il sito di gossip lifenews.ru - ci aveva promesso di farci vedere Anechka, anche solo di farci sentire la sua voce, ma poi ha detto che non sarebbe stato possibile». Il futuro di Anna Chapman si oscura anche sul fronte britannico, là dove lei vorrebbe tornare a vivere ma dove intende anche citare in giudizio l'ex marito, Alex Chapman, per quelle fotografie vendute nei giorni scorsi. Londra non è affatto ansiosa di riaverla, secondo la stampa si sta pensando a una revoca della cittadinanza britannica, possibile potendo provare che Anna si è sposata solo per avere un passaporto.
Non è molto più semplice far luce sul destino degli uomini che dopo lo "scambio tra spie" all'aeroporto di Vienna hanno ripreso il volo verso Occidente. La famiglia di Igor Sutjagin, il ricercatore condannato dai russi per aver passato informazioni classificate sulle difese nucleari russe a una società inglese, è rimasta senza notizie fino a ieri mattina. Poi Sutjagin ha telefonato da una cittadina vicino a Londra di cui non conosceva il nome: ha spiegato di essere riuscito a comprare una carta telefonica ma di non poter essere richiamato, ha detto di avere un passaporto russo ma senza visto per rientrare e di trovarsi in un albergo insieme a uno - non sapeva quale - degli altri tre cittadini russi graziati da Dmitrij Medvedev e poi espulsi.