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Questo articolo è stato pubblicato il 12 luglio 2010 alle ore 22:55.
Il candidato di tutti, pronto a correre alle primarie. Così si autodefinisce Giuliano Pisapia che al teatro Litta di Milano ha ufficialmente presentato la sua candidatura alla poltrona di sindaco per le amministrative del 2011. Lo ascoltano in molti, il teatro, per quanto piccolo, è pieno. Tanti restano fuori, nella sala antistante. Ci sono esponenti della sinistra radicale e della società civile. «Milano deve e può cambiare» esordisce l'avvocato penalista, ex presidente della commissione giustizia della Camera.
Ci sono echi obamiani nelle sue parole: «Milano ha bisogno di credere nel suo futuro», era la città «che non chiudeva le porte a nessuno», ed era la città «dove la speranza si trasformava in realtà». È il sogno meneghino, il sogno di una città dove oggi «migliaia di famiglie vivono sotto la soglia di povertà» e «il 13% dei giovani non ha un lavoro». Parla di smog, dei parchi mancati, del traffico, delle oltre «450 buche sulle strade censite dai giovani del Politecnico», chiama Letizia Moratti sindaca, per sottolinare come lo stato delle strade sia metafora di quanto la sindaca, appunto, ha fatto per la città. Pensa, Pisapia, al potenziamento dei mercati comunali, all'ideazione di progetti edilizi che consentano di rendere anche le periferie luoghi «dove si può abitare». Milano, dice «era la città dei talenti, delle promesse, era la capitale economica del paese. Oggi non lo è più». E non dimentica le stragi del terrorismo «anche in quell'occasione la risposta della città è arrivata», perché Milano ha «sempre avuto un'anima ed è una città capace di lottare». Poi cita Carlo Maria Martini: «Chi è orfano della casa dei diritti difficilmente sarà figlio della casa dei doveri».
È proprio il tema della giustizia sociale quello sul quale arriva la critica più forte a Letizia Moratti secondo la quale «chi viene da fuori e non è in regola è un delinquente». Insieme, promette Pisapia «ricostruiremo l'anima di Milano». L'avvocato parla anche di sicurezza «Vogliamo una città che non ha paura di discutere il suo sviluppo». Una città che non ha paura nemmeno di Expo, perché «può essere una buona occasione, ma senza cattedrali nel deserto, senza speculazione delle risorse. Deve invece lasciare servizi e infrastrutture e condurci a recuperare a tutto campo il tema di cui èportatore: nutrire il pianeta, l'enegia per il mondo».