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Questo articolo è stato pubblicato il 15 luglio 2010 alle ore 08:10.
ROMA - Davanti a taccuini e telecamere i maggiorenti del Pdl sembrano frenare sull'idea di un coordinatore unico del partito e su un possibile passo indietro di Denis Verdini. «Non ho visto nessuno che ha chiesto le sue dimissioni. Quanto al coordinatore unico ne abbiamo parlato con Berlusconi. Non credo che ci sia questa ipotesi, neanche larvatamente», dice Ignazio La Russa, che sarebbe comunque il primo a subire l'operazione, lasciando il vertice di palazzo Grazioli. Dove Silvio Berlusconi aveva chiamato a sé Denis Verdini e Nicola Cosentino, ma anche i capigruppo di Senato e Camera.
Il dietro le quinte, però, racconta la storia di un premier costretto a maneggiare un partito esplosivo. Assediato dalle inchieste giudiziarie e dall'assalto mediatico. E sempre più logorato da una faida interna che contrappone la vecchia guardia berlusconiana alle nuove leve che si muovono sotto la bandiera di "Liberamente".
Lo scontro era rimasto finora sotto traccia, ma è esploso sulla storia del coordinatore unico. Un progetto di cui il Cavaliere non ha mai fatto mistero e che, visti i nuovi sviluppi giudiziari, aveva ritirato fuori negli ultimi giorni offrendo l'incarico, secondo voci insistenti, proprio alla Gelmini. «Era una soluzione che gli avrebbe consentito di uscire dall'angolo dando l'idea di un rinnovamento totale - racconta un berlusconiano doc - affidato a una figura nuova al di sopra di ogni sospetto e che avrebbe ben controllato». Ma l'idea è arrivata alle orecchie di chi non doveva sapere scatenando una rivolta.
Così Berlusconi ha dovuto indietreggiare e rassicurare i suoi e Denis Verdini che ieri si era presentato al Cavaliere pronto a dimettersi. Ma il premier ha fatto una scelta scaricando Cosentino, cui pure pubblicamente ha riconfermato la stima, ma che di fatto, scommette più d'uno nel Pdl, è stato abbandonato al suo destino «perché in Campania finirà sbranato da Caldoro e dalla Carfagna». I due ufficialmente non commentano, ma nel loro entourage si osserva «che un coordinatore può sempre saltare da un momento all'altro».
Su Verdini, invece, il Cavaliere fa quadrato. «Dobbiamo resistere - è il suo ragionamento - se cedessimo daremmo l'impressione di assecondare sempre le richieste di Fini e dei suoi». Senza contare che parrebbe una resa anche verso la Lega. Che ieri, per bocca di Roberto Maroni, è tornata a sventolare il vessillo della propria diversità. «Non può succedere che uno di noi sia coinvolto in faccende simili - dice al Corriere della Sera - Scajola si è dimesso senza essere indagato. Gli interessati o il loro partito devono valutare se non lasciare provochi danni al governo e al partito stesso. Noi nella Lega faremmo così».