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Intercettazioni: governo alle strette sulla libertà di stampa

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Questo articolo è stato pubblicato il 16 luglio 2010 alle ore 08:04.

Le voci di nuovi emendamenti si rincorrono per tutto il giorno. Li starebbe scrivendo la finiana Giulia Bongiorno «per andare incontro ai rilievi del Colle», filtrava ieri da ambienti vicini alla presidenza della camera. Uno, in particolare, l'emendamento che potrebbe sbloccare la situazione, tanto da essere battezzato «emendamento grimaldello»: quello per ripristinare la libertà di informazione e far cadere il "bavaglio" alla stampa.

Era tra i «punti critici» segnalati a più riprese dal Quirinale, anche al ministro della giustizia Angelino Alfano quando, la settimana scorsa, è stato ricevuto dal segretario generale Donato Marra; ma è rimasto scoperto dopo la presentazione dei sei emendamenti Costa-Brigandì e dei 5 della Bongiorno. Senza quella correzione, la legge non solo rischia di non essere promulgata dal capo dello Stato, ma neppure di superare le pregiudiziali di costituzionalità, cioè il primo voto dell'aula della camera.

Che tra i «punti critici» del ddl, più volte rilevati dal Capo dello Stato, ci fosse anche il cosiddetto «bavaglio alla stampa» era noto da tempo, ma Silvio Berlusconi non intendeva sentire ragioni. Tant'è che per attenuare quella che, nei fatti, è una censura, Alfano aveva pensato di potersela cavare con la riduzione sia delle multe agli editori per la pubblicazione di atti vietati sia degli anni di carcere (da 4 a 3) per le registrazioni «fraudolente». I finiani - muovendosi nella logica della «riduzione del danno» - avevano fatto un passo in più, cancellando le multe agli editori per la pubblicazione di intercettazioni (mantenendole solo per quelle destinate alla distruzione), ben consapevoli, però, che non sarebbe bastato. Ciò nonostante, la consulta Pdl sulla giustizia ha bocciato la modifica: ancora ieri Enrico Costa dichiarava che «ci sarà battaglia, perché è inammissibile».

Alle resistenze politiche, infatti, se ne aggiungono alcune tecniche, o meglio, regolamentari. Il cosiddetto «bavaglio» è stato votato sia alla Camera che al Senato e, quindi, la norma sarebbe immodificabile. In realtà, il regolamento di Montecitorio attribuisce al presidente della commissione, prima, e al presidente della camera, poi, il potere di decidere in situazioni borderline, ma si tratta di decisioni delicate. Tant'è che i berlusconiani, a proposito dell'emendamento sugli editori, richiamano Fini e la Bongiorno al loro ruolo di «organi di garanzia».

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Tags Correlati: Angelino Alfano | Donato Marra | Enrico Costa | Gianfranco Fini | Giustizia | Idv | Loggia P2 | Montecitorio | Niccolò Ghedini | P6 | Palazzo Madama | PD | PDL | Silvio Berlusconi | Umberto Bossi

 

Di qui la necessità di trovare una formula o una motivazione che consentano di superare l'impasse tecnico. Sempre che, ovviamente, ci sia il via libera politico. Ieri la presidente della commissione giustizia smentiva le voci che la davano chiusa nel suo studio a scrivere l'emendamento grimaldello. Fatto sta che Alfano ne ha parlato con lei nei giorni scorsi e ieri, in un vertice a palazzo Grazioli con Niccolò Ghedini, ha spiegato al premier le conseguenze - politiche e istituzionali - di un eventuale irrigidimento sul punto. Prima ancora dello stop di Napolitano, il ddl potrebbe essere fermato dal voto - segreto - dell'aula della camera sulle pregiudiziali di costituzionalità. E ad impallinarlo, insieme all'opposizione, potrebbero esserci anche i finiani.

Il testo del Senato - cambiato più volte a palazzo Madama per mano della maggioranza e del governo - consente la pubblicazione degli atti di indagine non più segreti solo «per riassunto» e vieta del tutto la pubblicazione delle intercettazioni. Il combinato disposto di questi divieti e delle relative sanzioni (a editori e giornalisti) configura una lesione della libertà di stampa, sproporzionata rispetto alla tutela della privacy. Di qui la necessità di un riequilibrio, allo studio dei tecnici, sempre che da Berlusconi, poi, arrivi il via libera.
«Si farà, si farà», diceva ieri Umberto Bossi, riferendosi all'approvazione del ddl. «Tutti i giorni si inventano la P2 o la P6. Sono cose che fanno ridere. La gente non vuole essere ascoltata», aggiungeva. Parole criticate da Idv e Pd perché suonano come «una minaccia alla stampa».

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