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Budapest rifiuta una nuova austerity

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Questo articolo è stato pubblicato il 20 luglio 2010 alle ore 08:01.

«È del tutto fuori discussione, non ci saranno ulteriori misure di austerity, lo abbiamo detto al Fondo monetario e e all'Unione europea». Il ministro dell'Economia ungherese, Gyoergy Motolcsy, ribadisce la linea del governo conservatore che ha segnato sabato scorso la sospensione dei colloqui tra Budapest e le missioni di Fmi e Ue.
«Niente più tagli alla spesa, basta con le sofferenze per i cittadini. Negli ultimi cinque anni, con i governi socialisti, abbiamo già sopportato di tutto e ancora oggi stiamo vivendo le pesanti conseguenze di quelle scelte», dice Motolcsy, confermando invece la tassa sul settore bancario e assicurativo che garantirà allo stato un'entrata di oltre 700 milioni di euro, la metà dell'intera manovra di rigore e rilancio annunciata all'inizio di giugno dal governo del Fidesz, il partito di destra populista del premier Viktor Orban.


Sono molte le perplessità delle istituzioni internazionali che solo due anni fa hanno salvato dalla bancarotta l'Ungheria con un prestito da 20 miliardi di euro: per Bruxelles servono politiche di più ampio respiro, per il Fondo «la tassa sulle banche potrebbe avere conseguenze molto negative sull'accesso al credito e sulla crescita dell'economia del paese». Ma Motolcsy - mente dei programmi del Fidesz fin dalla prima esperienza di governo di Orban nel 1998 - tenta di smorzare i toni del confronto: «Chiuderemo l'anno con un deficit pari al 3,8% del Pil, come d'accordo con Fmi e Ue. L'anno prossimo scendendo al 3% saremo tra i paesi più solidi dell'Unione».

L'Ungheria non ha problemi di liquidità immediati, ha già messo in circolo 12,8 miliardi di euro di prestiti internazionali, ha in cassa 3,5 miliardi da spendere e il governo confida di ottenere i rimanenti cinque miliardi «alla ripresa dei negoziati a settembre».
Ma l'economia stenta a riprendersi, la disoccupazione è all'11%, l'inflazione sopra il 6%, il debito pubblico vale l'80% del Prodotto interno. E la rottura di sabato ha di nuovo agitato i mercati: ieri il fiorino è sceso del 2,7% sull'euro, al livello più basso da oltre un anno; i rendimenti dei titoli di stato sono saliti di 30 punti base; mentre il costo di assicurare il debito sovrano è schizzato ai massimi da sei settimane, da quando cioè alcune improvvide dichiarazioni dei membri del governo avevano paragonato la situazione economica dell'Ungheria a quella della Grecia.

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Tags Correlati: Budapest | Comitato Esecutivo | David Oxley | Eurasia Group | Fidesz | Fmi | Governo | Gyoergy Motolcsy | Moody's | Unione Europea | Viktor Orban

 

Tuttavia Moody's - prevedendo un'intesa in autunno sul prestito internazionale - ha lasciato invariato il rating sul paese a Baa1, con outlook negativo «dovuto all'incertezza per le azioni politiche che verranno intraprese». E la banca centrale ungherese ha deciso proprio ieri di lasciare invariati i tassi di interesse al 5,25%, pur dicendosi pronta a rialzarli per soccorrere il fiorino.
«Il governo ungherese sta giocando una partita molto pericolosa in una fase nella quale l'area euro cerca di allontanarsi dai rischi della crisi dei debiti sovrani», spiega l'analista David Oxley, di Capital Economics. «Una partita tutta interna, per non perdere il consenso popolare», dicono gli economisti di Eurasia Group. Dopo il 3 ottobre, dopo il voto amministrativo in tutte le maggiori città del paese, Budapest compresa, ogni dichiarazione diventerà meno tranciante e ogni accordo più vicino.
luca.veronese@ilsole24ore.com
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