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Napolitano: caso P3 al nuovo Csm

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Questo articolo è stato pubblicato il 20 luglio 2010 alle ore 08:04.

ROMA - Non può essere un Csm in scadenza ad affrontare «con la necessaria ponderazione» il delicatissimo tema della questione morale, emerso dall'inchiesta P3, in particolare dai rapporti tra il geometra-giudice tributario Pasquale Lombardi e alcuni componenti dell'Organo di autogoverno della magistratura, per interferire sul loro voto in occasione della nomina del presidente della Corte d'appello di Milano, Alfonso Marra. Non è possibile - ha spiegato ieri Giorgio Napolitano, in veste di presidente del Csm - perché anche a volerla affrontare «in termini generali e propositivi», c'è il rischio che la questione possa interferire con le inchieste penali, disciplinari e amministrative sulla vicenda. Una «seria preoccupazione», cui si aggiunge l'esigenza di «non gettare in alcun modo ombre» su quei consiglieri che «liberamente» - cioè «al di fuori di ogni condizionamento» - votarono Marra e contribuirono alla sua nomina. Ma il presidente della Repubblica ne fa anche una questione di «correttezza»: l'attuale Consiglio scade il 31 luglio e, dunque, è bene che «le appropriate decisioni» sul caso–Marra siano prese dai nuovi inquilini di palazzo dei Marescialli. I 16 togati sono stati già eletti ma mancano gli 8 laici su cui maggioranza e opposizione stentano a trovare un accordo, tant'è che le sedute comuni di Camera e Senato finora non hanno portato a nulla. Napolitano ne ha anche per loro.


Ai gruppi parlamentari rivolge «un vivo appello» affinché le prossime votazioni «vadano a buon fine». Perché, spiega, è «assolutamente necessario» che il 31 luglio il nuovo Csm sia al completo per raccogliere il testimone e «svolgere, senza soluzione di continuità e nella pienezza dei poteri, le sue più che mai essenziali e delicate funzioni». La palla è nelle mani dei partiti e dei capigruppo, ma a ieri non si registravano novità. I nomi che goravano sempre gli stessi: Calvi, Giostra e Vietti per il centrosinistra; Marini, Gargani, Lo Presti per il Pdl, Sarno o Brigandì per la Lega. A bloccare le votazioni è il mancato accordo su chi dovrebbe fare il vicepresidente: al momento in pole position resta Vietti.

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Tags Correlati: Alfonso Marra | Camera dei deputati | Celestina Tinelli | Corte d'Appello | Corte di Cassazione | Cosimo Ferri | Csm | Giorgio Napolitano | Giustizia penale | Michele Saponara | Milano | Nicola Mancino | PDL | Senato | Ugo Bergamo | Vietti

 

La decisione di Napolitano di stoppare il plenum sul caso Marra è stata comunicata per lettera al vicepresidente Nicola Mancino, in risposta a una missiva di quest'ultimo sull'inserimento all'ordine del giorno di un plenum straordinario della questione «regole deontologiche minime» dei consiglieri, posta da alcuni togati, tra cui Livio Pepino di Md. Vista la delicatezza, Mancino l'ha girata al Capo dello Stato (che ha l'ultima parola sull'ordine del giorno). Dalle intercettazioni dell'inchiesta P3 emerge che, nella rete dei rapporti di Lombardi, ci sarebbero finiti i consiglieri Celestina Tinelli, Michele Saponara e Ugo Bergamo (laici) nonché Cosimo Ferri e Roberto Carrelli Palombi (togati di Mi e Unicost). Inoltre, il geometra-giudice tribunario parlava al telefono anche con l'ex presidente della Cassazione Vincenzo Carboni (ora in pensione) e si vantava di avere rapporti con Mancino stesso. Il tutto per chiedere favori, sponsorizzare un magistrato piuttosto che un altro per incarichi direttivi prestigiosi, come nel caso Marra.

Sul neo presidente della Corte d'appello di Milano, però, il Csm si avvia a trasferirlo d'ufficio «per incompatibilità ambientale» (ma l'ultima parola la dirà il plenum del nuovo Csm). Oggi la prima commissione approverà a maggioranza un documento in cui si prende atto dei contatti di Marra con il «gruppo» di Lombardi, e delle pressioni esercitate sul Csm, nonché delle sollecitazioni che lo stesso «gruppo» gli rivolse, una volta nominato, per riammettere la lista Formigoni alle elezioni regionali. Una condotta che gli avrebbe fatto perdere prestigio, dimostrando l'incapacità a gestire l'ufficio sotto il profilo dell'immagine. Ad opposrsi è stato solo il laico Pdl Gianfranco Anedda, contrario anche all'eventuale audizione del magistrato a palazzo dei Marescialli.
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