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Questo articolo è stato pubblicato il 20 luglio 2010 alle ore 08:03.
KABUL - Dove vanno i fondi per la ricostruzione dell'Afghanistan? Volano via, letteralmente. Oltre quattro miliardi di dollari in contanti negli ultimi tre anni e mezzo sono stati impacchettati nelle stive degli aerei che decollavano da Kabul con destinazione sconosciuta, anche se quasi sicuramente la prima tappa era Dubai. Nell'ultimo tratto percorso in patria, questi soldi, ordinatamente impilati, hanno salutato il monumento a Shah Massud, il Leone del Panshir, e infine imboccato la strada verso l'aeroporto, conosciuta come il viale dei kamikaze, oggi blindata e chiusa al traffico per la conferenza internazionale.
Denaro riciclato, frutto dei proventi del narcotraffico ma anche della scrematura di signori della guerra, politici e capi tribali, sugli appalti internazionali: la cifra è importante, soprattutto se paragonata alla povertà del paese che nel 2009 aveva un Pil di 13,4 miliardi di dollari e di uno stato senza soldi in cassa perché le entrate fiscali e doganali vengono riscosse, sotto forma di tangenti, da warlord e talebani.
Il paradosso è che il governo di Hamid Karzai, guardiano assai distratto e complice della corruzione, chiederà alla conferenza di Kabul - che raduna 52 stati e 12 delegazioni di istituzioni internazionali - di poter gestire direttamente almeno il 50% degli aiuti internazionali che in totale dal 2001 ammontano a 40 miliardi di dollari, una somma importante ma pur sempre inferiore ai 50 miliardi all'anno spesi dagli Stati Uniti per la loro macchina militare. Non solo, verrà creato un fondo fiduciario di almeno 600 milioni e il presidente sarà dotato di un portafoglio personale di 50 milioni: soldi che dovrebbero servire per la ricostruzione ma anche per il reintegro dei talebani che abbandonano le armi. Il piano alla conferenza di Londra era stato chiamato con una certa ironia "Ten Dollars Taleban", dieci dollari per talebano, in realtà se dovessero venire cooptati tutti i 36mila combattenti e i 900 comandanti che si stima compongano la guerriglia a ognuno sarebbero distribuiti circa 20mila dollari.
Se il programma andasse a buon fine potrebbe anche essere un affare: ma c'è il fondato sospetto che il costo di questa exit strategy, che comprende la costituzione di nuove milizie locali volute dal nuovo comandante, il generale Petraeus, sarà ben superiore alle previsioni. Gli afghani, non importa se governativi o talebani, puntano a spremere il più possibile dalla presenza internazionale che secondo il calendario che presenta Karzai dovrebbe terminare entro il 2014, una data fortemente voluta dagli inglesi ma che appare al momento improbabile: la parola d'ordine è comunque "afghanizzare" il conflitto, trasferire alle forze locali di esercito e polizia il controllo della sicurezza in alcune province. Si comincerà a fine anno o nella primavera del 2011 ma intanto procede con impeto l'"afghanizzazione" degli aiuti, cioè la spartizione della torta internazionale.