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Questo articolo è stato pubblicato il 22 luglio 2010 alle ore 08:07.
La dice lunga sul talento di John Maynard Keynes (e sull'inadeguatezza della macroeconomia moderna) il fatto che quando è arrivata la crisi finanziaria i politici, istintivamente, invece di affidarsi ai loro raffinati modelli economici, abbiano rispolverato il concetto keynesiano di stimoli di bilancio.
Forse dovremmo rigirare i termini della questione: se gli stimoli fossero la soluzione, quale sarebbe il problema? Il problema sarebbe che troppi di noi hanno voluto risparmiare o pagare i debiti; ossia, volevamo che gli altri pagassero i nostri servizi ma non eravamo così smaniosi di pagare i loro. La semplice aritmetica ci dice che in questo modo l'economia stagna. Inoltre, il problema sarebbe che le aziende, scettiche riguardo alle prospettive di una ripresa, non hanno sfruttato tutti i risparmi accumulati disponibili per reinvestirli in nuovi progetti. La stagnazione "ristagnerebbe", forse molto a lungo. Se fosse questo il problema, gli stimoli di bilancio sarebbero la soluzione.
Quanto detto sembra adattarsi piuttosto bene all'economia americana o a quella britannica, e questo segna un punto a favore di chi vuole gli stimoli. Vero è che sicuramente la pazienza del mercato obbligazionario non è illimitata. E sono già in vigore tantissime misure di stimolo, perciò non è assurdo sostenere che potremmo tirare avanti con qualcuna in meno ora che l'economia si sta riprendendo.
La Teoria generale di Keynes sarà un'opera geniale, ma sono sempre stato più attratto dal breve saggio che scrisse nel 1930, Possibilità economiche per i nostri nipoti, in cui ci ricordava, nel pieno della Grande Depressione, che la tendenza di lungo periodo andava nel senso di una crescita inesorabile. «Sarei propenso a dire che il tenore di vita dei paesi avanzati da qui a cento anni sarà tra quattro e otto volte superiore a quello odierno», scriveva. Dopo ottant'anni, una Guerra mondiale e una depressione, i cittadini degli Stati Uniti e dell'Europa occidentale sono circa cinque volte più ricchi rispetto all'epoca in cui scriveva Keynes. Siamo nei parametri previsti.
Il saggio di Keynes esplorava sentieri che i suoi moderni discepoli spesso trascurano, vale a dire che cosa sarebbe successo una volta risolto "il problema economico". Secondo i parametri degli anni 30, questo problema è stato risolto. Ma la nostra risposta non è stata quella che Keynes si aspettava. Lui riconosceva che gli esseri umani avevano un insaziabile desiderio di sentirsi superiori agli altri, e che ci sarebbero sempre stati quelli vogliosi d'inseguire la ricchezza a tutti i costi. Ma sentiva che la maggioranza di noi si sarebbe adattata, sebbene a malincuore, a una vita di benessere. Avremmo lavorato meno e ci saremmo divertiti in altri modi. Non è stato così, e la civiltà continua a dipendere dalla produzione, dall'acquisto, dai consumi e dallo smaltimento di quel genere di cose che vediamo dappertutto.